FORMIA – Oltre duecentocinquanta pagine per ribadire la granitica robustezza del quadro probatorio definito dalla Procura della Repubblica sulla scorta delle brillanti indagini della Polizia Giudiziaria del gruppo di Formia della Guardia di Finanza e del locale commissariato e anche l’esistenza, dopo le risultanze processuali, di una collaudata e affidabile associazione a delinquere che, capeggiata da Carmina Fustolo e Italo Ausiello, si avvaleva di ulteriori sodali per realizzare un continuativo smercio di sostanze stupefacenti principalmente nel territorio di Formia”. Sono alcuni passaggi contenuti nelle motivazioni della chilometrica sentenza che, emessa il 4 aprile scorso dal Tribunale di Cassino (presidente Marco Gioia, Maria Cristina Sangovanni e Pio Cersase), sono state depositate il 1 ottobre per “motivare” i settantasei anni e mezzo di carcere (contro i 120 chiesti dalla Direzione Distrettuale antimafia di Roma) inferti nei confronti delle persone finite sotto processo nell’operazione anti-droga “White Fruite”.
La Polizia e, soprattutto, la Guardia di Finanza ricostruirono un vasto e violento traffico di stupefacenti a Formia e nel resto del sud pontino smantellando il 24 maggio 2022 una pericolosa e collaudata organizzazione criminale che avrebbe svolto la sua attività di spaccio utilizzando un mini market di generi alimentari nel rione marinaro di Mola a Formia. Le 12 persone a giudizio, all’epoca destinatarie di provvedimenti cautelari emessi dal Gip del Tribunale di Roma Francesco Patrone su richiesta del richiesta dell’allora sostituto procuratore della Dda Corrado Fasinelli, sono state tutte condannate con pene variabili dai 4 ai 14 anni e 8 mesi di reclusione anche se in sede di giudizio il tribunale collegiale di ha rivisto verso il basso la pesante requisitoria del sostituto procuratore Francesco Gualtieri della Dda di Roma.
Le condanne più pesanti, 14 anni ed 8 mesi e 13 anni e 9 mesi, erano state inflitte rispettivamente a Carmina Fustolo ed Italo Ausiello (assistiti dall’avvocato Pasquale Cardillo Cupo), i presunti vertici di questa organizzazione di cui avrebbero fatto parte Emanuele Tornincasa (8 anni e due mesi), Angelo Lombardi (7 anni e cinque mesi), Giuliano D’Uso (7 anni ed un mese) e l’ex agente di Guardia di Finanza Roberto De Simone (7 anni). Il Tribunale di Cassino non ha riconosciuto il vincolo associativo per la metà degli imputati: Gianfranco Simeone (quattro anni e mezzi di reclusione), Civita Lombardi (4 anni ed un mese), Laura Supino (4 anni e tre mesi), Ivan Calenzo (4 anni e cinque mesi di reclusione), Luca Centola (4 anni e due mesi) ed Enrico De Meo (4 anni ed un mese), che, ugualmente condannati a pene più miti rispetto alla requisitoria della Dda, erano stati scarcerati (difesi dagli avvocati Vincenzo e Matteo Macari, Pasquale Di Gabriele, Walter Marrocco, Paola Samarelli e dal professor Alfonso Furgiuele) per l’esclusione, per l’appunto, nei loro riguardi del vincolo associativo.
Ed il deposito delle motivazioni hanno messo in evidenza come “questo sodalizio abbia messo in campo la frenetica successione di condotte di spaccio espressive – scrivono testualmente i giudici Gioia, Sangiovanni e Cerase – di un radicamento sul territorio a vantaggio di una varia clientela e della volontà – hanno aggiunto i magistrati giudicanti – di espandere la propria sfera di operatività in ulteriori ambiti territoriali”. Questa conclusione è – secondo il Tribunale di Cassino – “avvalorata da sequestri a carico dei capi dell’associazione di elevate quantità di stupefacente che dimostrano “l’elevato volume d’affari connesso all’attività di spaccio dell’associazione”. E la sentenza del Tribunale di Latina mette in evidenza il ruolo svolto durante il dibattimento da alcuni collaboratori di giustizia secondo i quali le “forniture a favore della Fustolo e di Ausiello avevano una frequenza settimanale per quantitativi di 100 grammi che potevano arrivare sino a 300 grammi nei mesi estivi”.
Ed il ruolo dei collaboratori è stato evidenziato a più riprese nelle motivazioni della sentenza: “Le loro dichirazoni per la loro pregnante valenza accusatoria hanno consentito di acquisire al dibattimento importanti elementi di prova in ordine sia alla partecipazione di alcuni degli imputati sia alla sussistenza dei numerosi capi d’imputazione”. Al resto erano state, in via preliminare, le indagini (intercettazioni telefoniche ed ambientali, riprese video e attività di pedinamento ) e, durante, il dibattimento, dalle prove dichiarative dei testi di polizia giudiziaria (soprattutto delle Fiamme Gialle) di cui sono state apprezzate la “linearità, la sicurezza e la precisione”. A tal riguardo “la riconducibilità delle conversazioni intercettate agli imputati è stata appurata sulla base di elementi certi ed univoci quali, ad esempi, il riconoscimento vocale degli interlocutori da parte degli acquirenti che hanno imparato a riconoscerne le voci per averli ascoltati in una o più conversazioni sicuramente attendibili agli stessi”.
Ma quale tipo di associazione ha operato sino agli arresti del 2022 di Polizia e Guardia di Finanza? A rispondere a questi interrogativo sono ora gli stessi giudici Gioia, Sangiovanni e Cerase: “E’ stata una struttura organizzata, sia pure rudimentale fondata sull’accordo a commettere un numero indeterminato di reati e animata dall’’affectio societatis’ . Gli indagati hanno condiviso consapevolmente il programma criminoso e parteciparono attivamente alla sua realizzazione indipendendemete dai rispettivi e, talvolta, autonomi interessi personali”. Naturalmente – hanno aggiunto i legali delle persone condannate – hanno confermato che impugneranno in appello la sentenza del Tribunale di Cassino per contestare il castello accusatorio della Procura antimafia di Roma definendo “inattendibili e prive di riscontro” le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Basco.
In più le difese hanno sempre specificato come l’attività di spaccio praticata dal duo Fustolo-Ausiello sia stata “più contenuta e limitata” rispetto all’attività d’indagine di Polizia e Fiamme Gialle. Il processo di Cassino era terminato – come si ricorderà – con il riconoscimento delle attenuanti per la metà degli imputati secondo quanto prevede il sesto comma dell’articolo 74 del Dpr 309/1990. Per gli altri sei non è bastato allegare al collegio giudicante la sentenza del processo di secondo grado emessa nei riguardi di Marco Massimiani e Alì Abbassi. Avevano deciso di farsi giudicare con il rito abbreviato a Cassino ma i giudici d’appello gli avevano notevolmente ridimensionato le condanne di primo grado escludendo –come detto – l’aggravante del vincolo associativo previsto dal Dpr 309/1990. In sede di requisitoria i coniugi Carmina Fustolo e Italo Ausiello – come si ricorderà- erano risultati destinatari delle richieste più pesanti, 17 anni di carcere per la donna, 15 anni e mezzo per il marito, poi raggiunto lo scorso da una misura di prevenzione da parte del Tribunale di Roma.