Cronaca

Arce / Omicidio Serena Mollicone, depositate le motivazioni della sentenza d’Appello

ARCE – Cinquantatré pagine per ribadire che c’è un’altra verità sulla scomparsa e sull’omicidio, avvenuti il 1 giugno 2001, di Serena Mollicone. Le hanno scritte i giudici della prima sezione della Corte d’Assise d’appello di Roma depositando le motivazioni riguardanti la sentenza con cui sono stati assolti di nuovo, il 12 luglio scorso, l’ex comandante della stazione dei Carabinieri di Arce Franco Mottola, il figlio Marco e la moglie Annamaria, i carabinieri Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale. Loro – a dire della Corte d’Assise – non possono essere considerati i responsabili della barbara uccisione di Serena. Innanzitutto non c’è certezza che la studentessa 18enne di Arce sia entrata nella caserma dei Carabinieri venerdì’ 1 giugno di 23 anni fa, sia stata scagliata contro la porta del bagno dell’alloggio sfitto e, elemento ancora più incerto, che la seconda parte dell’aggressione – quella, letale, dell’imbavagliamento e dell’asfissia – sia avvenuta nello stesso stabile.

I componenti della famiglia Mottola, Suprano e Quatrale sono stati assolti per la seconda volta perché – e l’hanno sottolineato i giudici d’appello – la ricostruzione del delitto ha presentato molte lacune. “Evanescente”, inoltre, è stato definito il movente a fronte di “un compedio probatorio insufficiente e contradditorio”. I cinque imputati, dopo il proscioglimento da parte della Corte d’Assise di Cassino, non potevano essere condannati in appello perché – lo si legge nelle 53 pagine contenenti le motivazioni d’assoluzione – …”questa Corte ritiene di non avere le prove della colpevolezza degli odierni imputati, e sa che una sentenza di colpevolezza sarebbe costruita su fondamenta instabili’. Ma anche per un’altra ragione. La Corte d’Assise d’appello aveva accolto la richiesta della Procura di Cassino di svolgere una rinnovazione dibattimentale e, nonostante il collegio giudicante “ha largheggiato” – così si legge nelle motivazioni – ha dovuto constatare come sia rimasto immutato il quadro probatorio”.

Questa incerta situazione ha confermato “l’incertezza e la contraddittorietà degli elementi disponibili per affermare la responsabilità degli imputati”. Durissima l’analisi della Corte D’assise quando sostiene che “il convincimento del giudice non può fondarsi su umori popolari’: “Nel corso dei lunghi anni trascorsi dopo la morte di Serena, si è progressivamente radicata in larga parte dell’opinione pubblica la convinzione della responsabilità degli imputati. Ma il convincimento del giudice – come detto – non può e non deve fondarsi sui sondaggi o sugli umori popolari”. Mentre le diverse parti civili (in testa la sorella e lo zio di Serena Mollicone ma anche la famiglia di Santino Tuzi, il brigadiere di Sora che si suicidò nell’aprile 2008 alla vigilia di un nuovo interrogatorio davanti i Pm di Cassino per confermare di aver visto Serena entrare la mattina del 1 giugno 2001 nella caserma di Arce di cui era il piantone) hanno rinnovato i loro sentimenti di “amarezza e delusione”, hanno esultato le difese e soprattutto quella della famiglia Mottola.

A dire del loro portavoce, il criminologo Carmelo Lavorino, le motivazioni della sentenza d’appello “riconoscono la nullità, l’inconsistenza e la totale incertezza dell’impianto accusatorio e di fatto danno pienamente ragione al lavoro delle difese sia alle nostre fortissime e giuste critiche all’impianto accusatorio ed alla metodologia delle indagini, sia al nostro lavoro del tipo analitico, logico-investigativo, forense, criminalistico, criminologico e di diritto. La sentenza ha dato ragione alla difesa degli imputati che Serena non è entrata in caserma per andare da Marco Mottola, che la porta non è l’arma del delitto, che la prova scientifica portata dall’accusa né è prova e né è scientifica, che contro gli imputati vi sono stati sospetti basati sul nulla, che gli indizi si sono sciolti come neve al sole”. E’ assai probabile che il procuratore generale Francesco Piantoni nelle prossime settimane promuova un ricorso in Cassazione per l’assoluzione bis per uno dei nuovi misteri d’Italia.

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