LATINA – Comportamento double face venerdì mattina davanti il Gip del Tribunale di Latina dei due funzionari che, in servizio presso la sede del capoluogo pontino della Camera di commercio Latina-Frosinone, sono ai domiciliari dopo essere stati raggiunti da un’ordinanza custodiale emessa dallo stesso magistrato con le gravi ipotesi accusatorie, a vario titolo, di corruzione continuata, truffa aggravata in relazione a false attestazioni di presenza in servizio. Andrea Di Stefano e Giuseppe Luciano, entrambi di Sezze, hanno assunto, come detto, un differente comportamento processuale.
Se il 63enne Luciano, difeso dall’avvocato Lucio Teson, si è avvalso della facoltà di non rispondere, il 51enne Di Stefano, assistito dall’avvocato Claudio Cardarello, ha respinto tutte le accuse che gli vengono mosse dal Sostituto procuratore Valentina Giammaria e si è assunto le responsabilità per quanto riguarda gli addebiti mossi. La Procura, al termine delle indagini svolte dal comando provinciale della Guardia di Finanza, contesta ai due di aver istituzionalizzato un sistema illecito. Nel triennio 2021-2023 avrebbero percepito indebiti compensi economici per agevolare la conclusione di pratiche, proposte da imprenditori e professionisti come commercialisti e revisori contabili, come le cessioni di quote societarie, variazioni di sedi legali, deposito di bilanci, messa in liquidazione e cancellazione dal registro delle imprese.
Secondo l’accusa Di Stefano si era assunto l’onere di ricercare ”potenziali clienti” a cui proporre la gestione rapida e sicura delle pratiche. I suoi “clienti”, che sono sette e sono indagati a piede libero, si rivolgevano a Luciano che, una volta raggiunto l’accordo sul compenso extra per la prestazione richiesta, provvedeva a svolgere le pratiche commissionategli mentre i compensi venivano corrisposti attraverso passaggi diretti di denaro oppure ricariche alla PostePay. Luciano ha mantenuto la bocca chiusa anche per l’altro reato per il quale è finito ai domiciliari: è accusato anche di truffa aggravata in relazione a false attestazioni di presenza in servizio. Gli inquirenti hanno accertato che, dopo aver timbrato il badge, non era in ufficio ma si trovava fuori e non per svolgere mansioni legate al servizio.