Formia / 161° anniversario della città che non può e non vuole sorridere, un buon “non-compleanno”

FORMIA – Possono bastare la celebrazione di una Messa e la deposizione di una corona d’alloro, preceduta da una rituale sfilata di poche decine di metri, per festeggiare il compleanno, il 161°, di una città (importante) che resta sullo scacchiere provinciale e regionale come Formia? O andava organizzato un momento di “profonda comunione” per tentare di definire la meta, o presunta tale, di una città da anni rassegnata, piegata su se stessa e incapace – per tantissime ragioni – di delineare, a differenza degli altri centri del sud pontino, il suo “domani”? Il 13 marzo 2023 offre questi due interrogativi nel giorno in cui 161 anni fa, ad un anno dal raggiungimento dell’Unità d’Italia, Formia con un Regio Decreto riconquistava la sua vecchia denominazione romana.

Formia nel corso di questi 161 anni ha saputo affrontare e venire a capo di tante traversie ed emergenze, sociali, economiche e belliche ma qualcuno, a ragione, pensa di modificare ora anche il simbolo del comune (l’Araba Fenice) ed il relativo motto (Posta fata resurgo). La città è stata capace di resuscitare e di reagire anche di fronte alla tante distruzioni materiali e alle perdite umane di cui è stata vittima dal 1862 in poi. Da alcuni anni invece non riesce a colmare, a causa di vistose divisioni esistenti nei singoli ambiti politici, sociali, economici e culturali, un palese gap che costituisce una perdurate crisi d’identità. Insomma Formia non sa cosa vuole essere, dove vuole andare e come e con chi eventualmente farlo. E’ una palese dimostrazione di debolezza che coinvolge chi vive al momento la città e, di riflesso, condiziona le future generazioni che, pensando (a ragione) di andare via, stanno interrogando l’attuale classe dirigente di quale tipo di tipo di città saranno naturali eredi.

A Formia c’è una preoccupante e dilangante emergenza giovanile, sotterranea ed in superfice, che, insieme a quelle tipiche di un centro di frontiera (sotto ogni profilo e non soltanto geografico), sta rendendo nebuloso e ricco d’incognite il futuro del patrimonio umano, politico, economico e sociale della stessa città. Formia gestisce la sua vita quotidiana con un strumento di pianificazione, il Piano regolatore generale, commissariato dalla Regione nel 1974 ed entrato in vigore sei anni più tardi, insomma 43 anni fa. Insomma in un’altra era glaciale. E’ questo il principale atto di irresponsabilità della politica che ha avuto la possibilità, a tal riguardo, di riabilitarsi in almeno due circostanze politiche (di centro-sinistra e di centro-destra) con i tentativi attribuiti a due insigni urbanistici, Vezio De Lucia e Franco Purini, di riiscrivere il principale strumento urbanistico di Formia e di farlo approvare nel luogo più consono, il consiglio comunale. De Lucia e Purini sono stati correttamente liquidati ma le regole che disciplinano l’attività umana ed economica sono quelle varate o, meglio imposte da un commissario regionale ad acta, 43 anni or sono!

In questi giorni 30 anni fa – nel 1993 – Formia era colpita dalla bufera giudiziaria di una presunta tangentopoli. Tutto drammaticamente inutile. Non ci sono mai sentenze di condanne (tutt’altro) e quel fenomeno mediatico ha cominciato ad indebolire il dna della politica cittadina, considerato un modello o un esempio da imitare anche dai confini urbani della stessa città. All’elettorato veniva proposta un’offerta politica tutto sommato decente. Anche la prima elezione a sindaco di un post comunista come Sandro Bartolomeo è stata una salutare necessità che i formiani hanno avallato in ben quattro circostanze. Bartolomeo ed il futuro Senatore centrista Michele Forte sono stati protagonisti di un duopolio, di una quarantennale partita a ping pong al termine della quale sono stati vittime della loro grandezza politico- amministrativa: non hanno saputo o voluto creare un’alternativa a loro stessi. E’ questa l’unica responsabilità di cui sono stati protagonisti di cui terranno conto in futuro i libri di storia cittadina.

In quegli anni, tuttavia, c’erano diversi altri partiti rispetto agli attuali e le campagne elettorali iniziavano il giorno dopo la conclusione dell’ultima. Le liste per il rinnovo del consiglio comunale, per esempio, erano il frutto di una conoscenza del territorio, delle sue problematiche ma anche delle sue peculiarità che si affinava in quegli splendidi strumenti di partecipazione e di confronto che erano i consigli circoscrizionali di Maranola, Trivio, Castellonorato-Penitro e Gianola-S.Janni.

La normativa della falsa spending review li ha cancellati e le conseguenze, disastrose, ereditate sono state essenzialmente due. La prima. Le liste per il rinnovo del consiglio comunale hanno sempre più un carattere “last minute”: vengono formalizzate la notte prima della loro presentazione al termine di qualche furto o scippo nella coalizione avversaria. La gran parte dei componenti degli ultimi consigli comunali, per esempio, fa fatica a distinguere una delibera di Giunta da una di Consiglio e, peggio, da determina dirigenziale e i loro nomi e volti, in rapporto alle questioni amministrative mai… affrontate, sono sconosciuti all’opinione pubblica e tantomeno agli stessi organi d’informazione. Nell’epoca irta di insidie dei social e dei “like” a tutti i costi il cittadino-elettore, non potendo più partecipare alla vita politico amministrativa della città per la risoluzione del grande e piccolo problema quotidiano, sta reagendo in due modi: evita l’impegno attivo o diserta le urne. L’allarme è scattato nelle ultime tre consultazioni elettorali: alle amministrative dell’ottobre 2021, alle politiche del 2022 e alle regionali del 12 e 13 settembre scorsi.

Formia è sempre stata, invece, una miscela esplosiva in tema di partecipazione popolare ma il 40,74% dell’affluenza finale al voto regionale di un mese fa ha evidenziato come il cittadino comune non si fidi più. Soprattutto dell’offerta politica locale. Un dato fresco fresco: alle ultime regionali i voti validi delle varie liste sono stati a Formia 12.405. I candidati formiani in lizza erano quattro per il rinnovo del consiglio della Pisana: l’attuale assessore ai Lavori Pubblici di Forza Italia Eleonora Zangrillo (la più votata con 2669 voti), il capogruppo della Lega Antonio Di Rocco (1470), l’ex sindaco Paola Villa (per il Movimento Cinque Stelle ha raccolto 999 preferenze personali) ed il giornalista Franesco Furlan del M5s (268 voti). Facendo la somma algebrica, i candidati formiani alle ultime regionali hanno ottenuto 5406 voti, pari al 43,57% di quelli validi.

Tredici anni fa, in occasione dell’elezione del penultimo presidente del centro destra, Renata Polverini, da soli ed in prima persona il futuro assessore alle Politiche sociali Aldo Forte e l’ex sindaco Dem Sandro Bartolomeo avevano sfiorato il 70% dei voti validi. Che significa? L’elettorato elettorale si affidava alla produzione e all’espressione politica “made in Formia” che nel bene e nel male si faceva giudicare a testa alta e senza infingimenti per l’operato svolto nella consultazione elettorale successiva. Chi scappava come un coniglio veniva inesorabilmente punito. Formia oggi è una città politicamente ed economicamente colonizzata da falsi formiani capaci di naturalizzarsi nel giro di qualche anno mascherando la loro provenienza esterna dai centri limitrofi. Se quest’ultimo sino a qualche anno subivano, in positivo, l’effetto di una città considerato uno dei locomotori dell’intera provincia di Latina, Formia si è trasformata uno degli ultimi vagoni di un treno che viaggia a velocità dimezzata e senza meta.

La città continua ad essere cannibalizzata sul piano elettorale e gestionale. Una conferma, plastica, c’è stata in occasione della recente sfilata del Carnevale Formiano con il podio delle autorità che era tutt’altro che formiano – e i meriti non sono dei legittimi protagonisti di questa lenta e graduale invasione quanto per i demeriti di chi si lascia aggredire perché rassegnato o senza una degna proposta politica da contrapporre.

Formia compie gli anni ma la gestione della sua azienda principale, l’istituzione Comune, conferma questa negativa involuzione. Sino a qualche lavorare nel palazzo municipale di via Vitruvio era un motivo di vanto alla stessa stregua di uno stage svolto da un atleta presso il centro di preparazione “Bruno Zauli” o di un banchetto consumato nel dirimpettaio Grande Albergo Miramare della famiglia Celletti. I dirigenti del comune di Formia quando possono scappano quasi terrorizzati . Se 30 anni fa in questi giorni c’era un incubo che incuteva timore e corrispondeva al nome del sostituto procuratore Pietro Allotta, ora tutti fuggono. Perché? La città non vuole e non può più sorridere. Se fosse stato ancora in vita il compianto sindaco di Formia, l’avvocato Tonino Ferrone avrebbe estorto ai formiani un sorriso con il suo mitologico slogan: “Chi vinc, capisc e cummanna”.

E’ il secondo verbo che non più d’attualità. Purtroppo.

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