Minturno / Nasce il comitato locale “NoTriv” contro le trivellazioni in mare

MINTURNO – Anche a Minturno è nato un comitato locale “NoTriv” sull’onda dell’iniziativa promossa dal “Coordinamento Nazionale No Triv” per fermare le trivellazioni in mare, oggetto del referendum del prossimo 17 Aprile.

“La cosa che ci ha fatto muovere sin da subito – spiega Dario Gargiulo, tra gli organizzatori – è che il Governo Renzi con lo Sblocca Italia ha approvato 48 nuove concessioni, che si andrebbero a sommare alle già esistenti 134 piattaforme. Non è assolutamente accettabile. Oltre al fatto che non è accettabile che il Governo prenda decisioni del genere senza tener conto delle competenze locali e regionali in fatto di tutela del territorio e del mare. Presto partirà la Campagna pre-Referendaria e vi terremo aggiornati sulle iniziative e sulla distribuzione dei materiali per arrivare il 17 Aprile a dare un forte e chiaro segnale al Governo di contrarietà alle Trivelle nei nostri mari, votando SI”.

Per informazioni, scrivere alla email notrivminturno@gmail.com oppure collegarsi alla pagina Facebook

IL REFERENDUM. Il prossimo 17 aprile si terrà un referendum popolare. Si tratta di un referendum abrogativo, e cioè di uno dei pochi strumenti di democrazia diretta che la Costituzione italiana prevede per richiedere la cancellazione, in tutto o in parte, di una legge dello Stato. Perché la proposta soggetta a referendum sia approvata occorre che vada a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto e che la maggioranza dei votanti si esprima con un “Sì”.

Hanno diritto di votare al referendum tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto la maggiore età. Votando “Sì” i cittadini avranno la possibilità di cancellare la norma sottoposta a referendum.

Con il referendum del 17 aprile si chiede agli elettori di fermare le trivellazioni in mare. In questo modo si riusciranno a tutelare definitivamente le acque territoriali italiane. Nello specifico si chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Nonostante, infatti, le società petrolifere non possano più richiedere per il futuro nuove concessioni per estrarre in mare entro le 12 miglia, le ricerche e le attività petrolifere già in corso non avrebbero più scadenza certa.

Se si vuole mettere definitivamente al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere occorre votare “Sì” al referendum. In questo modo, le attività petrolifere andranno progressivamente a cessare, secondo la scadenza “naturale” fissata al momento del rilascio delle concessioni.

A seguito di un eventuale esito positivo del referendum, il Parlamento o il Governo non potrebbero modificare il risultato ottenuto. La cancellazione della norma che al momento consente di estrarre gas e petrolio senza limiti di tempo sarebbe immediatamente operativa. L’obiettivo del referendum è chiaro e mira a far sì che il divieto di estrazione entro le 12 miglia marine sia assoluto. Come la Corte costituzionale ha più volte precisato, il Parlamento non può successivamente modificare il risultato che si è avuto con il referendum, altrimenti lederebbe la volontà popolare espressa attraverso la consultazione referendaria.

Qualora però non si raggiungesse il quorum previsto perché il referendum sia valido (50% più uno degli aventi diritto al voto), il Parlamento potrebbe fare ciò che vuole: anche prevedere che si torni a cercare ed estrarre gas e petrolio ovunque.

Un’eventuale vittoria del “SI” non farebbe perdere alcun posto di lavoro: neppure uno. Un esito positivo del referendum non farebbe cessare immediatamente, ma solo progressivamente, ogni attività petrolifera in corso. Prima che il Parlamento introducesse la norma sulla quale gli italiani sono chiamati alle urne il prossimo 17 aprile, le concessioni per estrarre avevano normalmente una durata di trenta anni (più altri venti, al massimo, di proroga). E questo ogni società petrolifera lo sapeva al momento del rilascio della concessione. Oggi non è più così: se una società petrolifera ha ottenuto una concessione nel 1996 può – in virtù di quella norma – estrarre fino a quando lo desideri. Se, invece, al referendum vincerà il “Sì”, la società petrolifera che ha ottenuto una concessione nel 1996 potrà estrarre per dieci anni ancora e basta, e cioè fino al 2026. Dopodiché quello specifico tratto di mare interessato dall’estrazione sarà libero per sempre.

Il voto referendario è uno dei pochi strumenti di democrazia a disposizione dei cittadini italiani ed è giusto che i cittadini abbiano la possibilità di esprimersi anche sul futuro energetico del nostro Paese. Nel dicembre del 2015 l’Italia ha partecipato alla Conferenza ONU sui cambiamenti climatici tenutasi a Parigi, impegnandosi, assieme ad altri 185 Paesi, a contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi e a seguire la strada della decarbonizzazione.

Fermare le trivellazioni in mare è in linea con gli impegni presi a Parigi e contribuirà al raggiungimento di quell’obiettivo. È necessario, nel frattempo, affrontare il problema della transizione energetica, puntando anche sul risparmio e sull’efficienza energetica e investendo da subito nel settore delle energie rinnovabili, che potrà generare progressivamente migliaia di nuovi posti di lavoro.

Il tempo delle fonti fossili è scaduto: è ora di aprire ad un modello economico alternativo. Senza considerare che i mari italiani sono mari “chiusi” e un incidente anche di piccole dimensioni potrebbe mettere a repentaglio tutto questo.

Un eventuale incidente – nei pozzi petroliferi offshore e/o durante il trasporto di petrolio – sarebbe fonte di danni incalcolabili con effetti immediati e a lungo termine sull’ambiente, la qualità della vita e con gravi ripercussioni gravissime sull’economia turistica e della pesca.

Molti di Voi si staranno domandando…ma questi impianti di Trivellazione sono pericolosi? c’è il rischio di inquinamento?

La ricerca e l’estrazione di idrocarburi ha un notevole impatto sulla vita del mare: la ricerca del gas e del petrolio attraverso la tecnica dell’airgun incide, in particolar modo, sulla fauna marina: le emissioni acustiche dovute all’utilizzo di tale tecnica può elevare il livello di stress dei mammiferi marini, può modificare il loro comportamento e indebolire il loro sistema immunitario.

Ricerca e trivellazioni offshore costituiscono un rischio anche per la pesca. Le attività di prospezione sismica e le esplosioni provocate dall’uso dell’airgun possono provocare danni diretti a un’ampia gamma di organismi marini quali cetacei, tartarughe, pesci, molluschi e crostacei e alterare la catena trofica.

I monitoraggi fatti da ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) prevedono analisi chimico-fisiche su campioni di Acqua, Sedimenti Marini e Mitili (le comuni cozze). I Sedimenti nei pressi delle piattaforme sono spesso molto contaminati spesso oltre i limiti fissati dalle norme comunitarie. Tra i composti che superano con maggiore frequenza gli standard di Qualità Ambientali fanno parte metalli pesanti come Cromo, Nichel, Piombo ed Idrocarburi. Riguardo alle analisi fatte sui Mitili prelevati presso le piattaforme gli inquinanti identificati sono tre: Mercurio, Esaclorobenzene ed Esaclorobutadiene. Di queste tre solitamente solo il Mercurio viene abitualmente misurato. I Risultati mostrano che circa l’86% del totale dei campioni analizzati nel trienio 2012-2014 superava il limite di concentrazione di mercurio identificato dagli SQA. I risultati mostrano oltretutto che circa l’82% dei campioni di mitili raccolti nei pressi delle piattaforme presenta valori più alti di Cadmio rispetto a quelli misurati nei campioni presenti in letteratura; altrettanto accade per il Selenio 77% e lo Zinco 63%.

Ovviamente risalendo la catena alimentare questi metalli possono raggiungere l’uomo. Un Ulteriore confronto ha riportato che circa il 30% dei mitili oggetto di campionamento di ISPRA ha valori di concentrazione più alti di quelli rinvenuti nei tessuti di mitili in aree estranee all’impatto delle attività estrattive.

Le conclusioni sono chiare. Laddove esistono limiti di legge per la concentrazioni di inquinanti, questi sono spesso superati dai sedimenti circostanti le Trivelle. Pur con qualche oscillazione nei risultati, questa situazione si mantiene abbastanza costante di anno in anno.

Al quadro ambientale critico si aggiunge il fatto che l’organo istituzionale ISPRA che dovrebbe vigilare sulla correttezza dei dati ambientali in prossimità delle piattaforme è anche quello che, per conto di ENI, realizza i monitoraggi.

Insomma: Il controllore è a libro paga del controllato. Al quanto preoccupante inoltre, è il fatto che ISPRA che per conto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha reso noti, dietro una forte richiesta di Greenpeace, i dati dei monitoraggi di soli 34 Impianti di Trivellazione. Nel report di monitoraggio mancano quindi, e quì nasce il grande dubbio sul controllore ed il controllato, i dati delle altre 100 piattaforme operanti nei nostri mari.

Durante le fasi di coltivazione di idrocarburi, insieme al gas ed al greggio, vengono estratti grandi quantità di acqua presente nel pozzo denominata Acqua di Formazione. Tali acque essendo state a contatto per moltissimo tempo con giacimenti di idrocarburi sono ricche di numerose sostanze inquinanti. Inoltre per aumentare la pressione del giacimento viene utilizzata, per favorire la risalita del combustibile, dell’acqua aggiuntiva, chiamata Acqua di Processo.

Queste Acque sono chiaramente inquinate, pertanto vanno attuati degli studi specifici per quantificarne la pericolosità, visto che vengono scaricate in mare.

Riassumendo, i dati riportati da ISPRA nelle relazioni evidenziano quindi che numerose sostanze superano pericolosamente gli SQA (ovvero le concentrazioni individuate dalla legge per tutelare la salute umana e l’ambiente).

Concludendo, molte persone si saranno chieste se le trivelle divenute negli anni ospiti comuni nei loro territori possano generare fenomeni di inquinamento ambientale.

La risposta che si evince da quanto riscontrato dai rapporti di ISPRA, commissionati dal Ministero competente, MATTM, e pubblicati da Greenpeace, a dispetto di quanto vogliano far credere petrolieri e addetti ai lavori di vario genere, è semplicemente chiara: Sì, le Trivelle sono impianti inquinanti.

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