CORENO AUSONIO – Sono sfilati nella giornata di ieri i primi testimoni dell’accusa e della parte civile nel processo nel quale è imputato Giuseppe Di Bello, il 35enne di Coreno Ausonio accusato di aver ucciso i due fratelli Amilcare e Giuseppe Mattei di Castelforte, 41 e 51 anni, nella loro cava “Gpr Tirreno Srl” di Coreno nella notte tra il 6 e il 7 novembre 2014.
Nella corposa relazione di 90 pagine depositata dai Carabinieri del Ris di Roma viene ricostruita tutta la vicenda, a cominciare dal numero di colpi esplosi: ben 19 ne sarebbero stati sparati in aria, a vuoto, probabilmente per intimidire e mettere in fuga coloro che si erano introdotti per compiere un furto di carburante. E sarebbe questa la ragione per cui Di Bello si trovava all’interno della cava, anche perché non era la prima volta che i due fratelli di Castelforte subivano tali furti notturni.
E proprio i furti notturni sono stati l’argomento al centro delle varie testimonianze. “L’azienda era sempre tenuta sotto controllo – ha spiegato un testimone della parte civile, parente delle vittime – I fratelli Mattei erano stanchi dei furti e facevano continue ispezioni, l’ultima anche qualche tempo prima della loro morte”. Sono, dunque, i continui ammanchi di carburante, secondo la ricostruzione di parte, la motivazione che ha portato al duplice omicidio dei due imprenditori di Castelforte. “Avevano sospetti sulla famiglia Di Bello – ha continuato il testimone – perché chi era entrato in azione doveva conoscere molto bene la cava. Spesso succedeva che dentro ai mezzi venivano trovati acqua e sabbia”.
Conferma quanto già detto dal parente delle vittime anche un ex lavoratore del marmo, ora ristoratore nel Comune di Santi Cosma e Damiano: “I furti erano continui e saliva la rabbia visti i tanti sacrifici fatti. Amilcare e Pino Mattei davano da mangiare a tante famiglie. I sospetti c’erano e pure tanti. Tutti diretti alla famiglia Di Bello, perché sappiamo che non acquistavano mai gasolio eppure lavoravano”.
Un dipendente dell’azienda dei due fratelli di Castelforte ha riferito su come i due imprenditori cercavano di monitorare gli ammanchi di carburante: c’erano alcuni lavoratori incaricati di misurare il quantitativo di nafta nei serbatoi degli escavatori sia di sera che di mattina, per stabilire se vi fossero stati dei furti di carburante. Per tale motivo avevano installato oltre alle telecamere sparse per l’area aziendale anche una fototrappola, ma senza sortire alcun effetto in quanto i ladri non venivano mai beccati. Un altro ex dipendente ha spiegato di aver trovato delle taniche di carburante nascoste sotto le foglie durante una battuta di caccia in montagna. “Chiamai Pino, per verificare, ma quando il padre del Di Bello non c’era: avevo paura”, ha spiegato. Nella prossima udienza continueranno le escussioni dei testi della pubblica accusa.
Giuseppe Di Bello è accusato non solo di duplice omicidio e di porto abusivo di arma da fuoco clandestina ma anche di tentato furto aggravato e ricettazione. Infatti, secondo le immagini acquisite dai carabinieri di Pontecorvo, diretti dal Capitano Fabio Imbratta e dal Tenente Vittorio De Lisa, i fratelli Mattei avrebbero sorpreso Di Bello proprio mentre stava commettendo un furto di gasolio.
Gli uomini dell’Arma hanno acquisito le foto provenienti da un sofisticato sistema di videosorveglianza collegato ad una fotocellula che i proprietari della cava avevano fatto installare per scoprire gli autori dei continui furti di carburante dai caterpillar. Proprio grazie a questo sistema a infrarossi, i due fratelli Pino e Amilcare Mattei sono stati allertati dell’intrusione all’interno del loro cantiere. Per questo si sono subito diretti sul luogo, dove purtroppo hanno trovato la morte.
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