FORMIA – Questa mattina il Sindaco Sandro Bartolomeo, accompagnato da una delegazione comunale, ha effettuato un sopralluogo sul terreno che la famiglia Ranucci ha deciso di donare alla città di Formia contenente reperti archeologici di grande interesse. La volontà dell’Amministrazione, espressa dal Sindaco durante la visita, è di trovare presto le risorse per recuperare il sito, valorizzarlo e trasformarlo in un parco archeologico. Un’area di massima importanza storica, inserita in un contesto paesaggistico e naturale davvero straordinario e oggi ai più sconosciuto.
Scheda area “Muro di Nerva”
L’area del cosiddetto ‘Muro di Nerva’ rappresenta uno dei poli archeologici che contraddistinguono il litorale urbano di Formia. Con la villa Rubino e il porto Caposele ad occidente, delimita quella parte del fronte a mare cittadino non compromesso dal passaggio della litoranea e che, alle notevoli testimonianze monumentali, associa ancora rare se non uniche caratteristiche paesaggistiche e ambientali. L’elemento di spicco è un possente muro in ‘opus incertum’ d’epoca repubblicana, attualmente attraversato dalla via litoranea (via Unità d’Italia), parte della cinta difensiva del porto che impropriamente ha preso il nome dell’imperatore Nerva (96-98 d.C.) per un’iscrizione rinvenuta nei pressi e riferita a una sua opera devoluta alla città. Congiunto al muro, nella parte occidentale, si configura un complesso di forma quadrangolare costituito da locali quadrilunghi con volte a botte che la tradizione indica come ‘Grotte di Sant’Erasmo’ in quanto legate alla memoria del vescovo di Antiochia, morto e sepolto a Formia. Le strutture erano il basamento di una villa marittima, successiva alle esigenze difensive, i cui locali sottostanti servivano da deposito merci, come nella villa del porto Caposele, accessibili da una corte centrale collegata alle banchine. Davanti al complesso insistono i resti di una peschiera usata dai romani per l’allevamento del pesce. Immediatamente a monte correva l’antica cinta di mure ciclopiche pre-romana (V secolo a.C.) alta circa 12 metri. Distolta dalla sua funzione, richiese un consolidamento appoggiando una serie di fornici con volta a botte (I secolo a.C.) e lasciando visibili sul fondo i blocchi poligonali. Uno degli ambienti mostra sulla volta l’ornamentazione superstite di prima età imperiale, formata da un raro esempio di riquadrature di stucco figurate e dipinte: da ciò le stanze sono state impropriamente indicate come “ninfei Colagrosso”, dal nome degli attuali proprietari. Tutta l’area era coltivata ad agrumeto, protetta dai venti marini con un alto e sottile muro di cinta e irrorata da una sorgente che scaturisce ai piedi del muro di Nerva, nella parte a monte della litoranea”.
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