CASSINO – La commedia satirica del Centro Universitario Teatrale di Cassino riempie completamente la sala del teatro di piazza Diamare e regala due ore di spettacolo intenso e coinvolgente restituendo alla platea i ricordi della Cassino che fu. Ricordi che non solo richiamano alla mente i più importanti avvenimenti storici che hanno segnato la vita e la memoria dei cittadini in maniera indelebile ma anche i più semplici e quotidiani rituali popolari legati alle tradizioni da sempre condivise. Ecco, quindi, che il ricco cast di interpreti fa rivivere con “Gliu paese che s’è montato la capa” il dramma dei bombardamenti e della distruzione della città e dell’abbazia del 1944; la successiva ricostruzione portata avanti con sacrificio, determinazione e orgoglio; la nascita dell’università e lo sviluppo del polo industriale. Ma c’è spazio anche per gli abituali incontri delle donne degli anni quaranta al lavatoio per fare il bucato, spettegolare e condividere pensieri, indiscrezioni e desideri sul futuro; per il rituale religioso della processione della Madonna dell’Assunta vissuto ogni anno con partecipazione, dedizione ed entusiasmo; per i momenti di vita quotidiani più leggeri e spassosi come le giornate al mare, laboriosamente organizzate, o i battibecchi tra suocera e nuora, specchio del cambio generazionale tra le mura domestiche.
Il Cut di Cassino, diretto da Giorgio Mennoia, coadiuvato dal maestro Antonio Lauritano, ha ripercorso la storia della città seguendo un ritmo dinamico grazie all’alternanza di immagini storiche e filmati documentaristici, affidati ad Andrea Vernengo, con scene teatrali e intermezzi coreografici curati da Pina Di Dea, Francesca Mariorenzi e Giona Ferrara. A tenere il filo conduttore di questo lungo viaggio nella storia di Cassino è stata la voce narrante di Gabriele Sangrigoli, docente di dizione della “Scuola di Attori” del Centro Universitario Teatrale, che ha ricordato tutte le tappe fondamentali, richiamato alla memoria momenti e ricordi, descritto abitudini, usanze e tradizioni popolari.
“Dedico questo spettacolo a mio padre – ha confidato al pubblico l’autrice Anna De Santis con evidente commozione – che mi ha trasmesso l’amore per questa città, con i suoi pregi e i suoi difetti, e che spero possiate condividere con me”. Un sentimento positivo profondo che appartiene a tutti i cassinati, non solo agli anziani che hanno vissuto la paura e l’orrore della guerra ma anche ai giovani che nei racconti, nei documenti ufficiali e nella quotidiana figura imponente dell’abbazia rivedono la storia, le ferite e i progressi della propria città.
“Sulla scena non ci sono protagonisti d’eccezione perché il vero e unico protagonista della commedia è la popolazione di Cassino – spiega il regista Mennoia – che con fatica e dignità ha ricostruito da zero la città, mantenendo sempre vive la tradizione e la memoria storica”. È la stessa popolazione che, con bonaria ironia, viene passata in rassegna sul palcoscenico anche nelle abitudini più popolari, nel carattere più ingenuamente provinciale e in quel modo di fare a volte pettegolo e sfacciatamente curioso. “Qualora alcune estemporanee improvvisazioni fossero risultate fuori luogo e inopportune – aggiunge ancora Mennoia – il Cut se ne scusa e tiene a precisare che non era nostra intenzione finalizzarle a qualsivoglia strumentalizzazione di altro genere”.
Trapela nel finale di “Gliu paese che s’è montato la capa” un amore sincero per questa “Terra santa” che un tempo si credeva potesse essere inviolabile, un legame così forte che riesce a rendere i cittadini uniti aldilà di pensieri, comportamenti quotidiani e modi di vita differenti.
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