FORMIA – Antonio Langella, autotrasportatore di 52 anni di Formia, la mattina del 2 dicembre scorso morì all’interno della villetta che occupava in via Giovenale, in località Acquatraversa, perché vittima di un’aggressione, tanto fulminea quanto violenta. Insomma fu un omicidio e a provocarlo fu l’amico che abitava da qualche tempo con lui, Andrea Tamburrino, 42enne originario di Cellole ma da anni trapiantato a Scauri. Lo ha scritto il Gip del Tribunale di Cassino Massimo Lo Mastro nelle 44 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare che, chiesta dal sostituto procuratore Chiara D’Orefice dopo nove mesi di laboriose e complicate indagini, è stata notificata dai Carabinieri della Compagnia di Formia all’uomo che si trova recluso nel carcere di Cassino dallo scorso 21 dicembre per un cumulo di pena per complessivi sei anni e mezzo per diversi e gravi reati passati in giudicato.
L’ordinanza del Gip Lo Mastro contiene l’accusa dell’omicidio preterintenzionale e scaturisce dalla conclusione, due mesi fa, dell’incidente probatorio chiesto dal difensore di Tamburrino, l’avvocato Pasquale Cardillo Cupo. Secondo le conclusioni del perito di fiducia del Gip, il medico legale Daniela Lucidi, Langella morì per un vasto trauma contusivo-compressivo, fu vittima di un’aggressione improvvisa al punto che non ebbe il tempo ed il modo per reagire. La dinamica omicidiaria del perito del Gip Lo Mastro è stata condivisa anche dai consulenti di fiducia del sostituto procuratore Chiara D’Orefice e della parte civile, Alessandro Mariani e Filippo Marino, e non dal perito nominato dalla difesa secondo il quale Langella, indagato a lungo per omicidio volontario, sarebbe morto cadendo dalle scale tra il pianerottolo ed il primo piano della villetta di Acquatraversa. La perizia della dottoressa Lucidi ha, infatti, ribadito come l’autotrasportatore, separato da tempo e padre di una figlia, fosse pienamente cosciente nel momento dell’aggressione mortale.
La Procura di Cassino, in effetti, ha sempre condiviso i risultati delle indagini svolte dagli uomini del Nucleo Operativo e Radiomobile che, guidati dal Capitano David Pirrera e dal tenente Massimo Milano, già dalle prime ore del delitto si erano trovati davanti ad uno scenario investigativo molto articolato, con il rinvenimento del cadavere di Giuseppe Langella mentre l’amico Tamburrino si trovava a terra agonizzante a seguito di un tentativo di suicidio. La stessa autopsia aveva prefigurato l’ipotesi dell’aggressione mortale e a fare il resto furono gli accertamenti compiuti dai Carabinieri che, supportati nelle indagini dai colleghi del Nucleo Investigativo del Comando provinciale di Latina e del Ris di Roma, individuarono inconfutabili segni di violenza sul corpo privo di vita di Langella (sarebbe stato vittima di un pestaggio) mentre il suo aggressore avrebbe cercato da subito di sviare le indagini cercando di ripulire le tracce del crimine poco prima commesso.
L’ordinanza contiene diverse intercettazioni telefoniche ed ambientali, in alcune delle quali Tamburrino si sarebbe contraddetto e tradito interloquendo con alcuni conoscenti subito dopo aver dato l’allarme al 118. Il provvedimento di arresto, poi, evidenzia la personalità e ogni aspetto della vita dei due personaggi coinvolti. Entrambi avevano interesse a convivere insieme. Se Langella aveva bisogno di danaro dopo la conclusione del suo matrimonio, Tamburrino – scrivono i Carabinieri – era “un soggetto violento e manipolatore”. L’avvocato Cardillo, evitata la ben più grave ipotesi accusatoria dell’omicidio volontario aggravato, si dichiara ancora convinto che si sia trattato di un incidente domestico caratterizzato da un epilogo tragico e, difendendo la sua scelta e strategia di chiedere l’incidente probatorio per una fedele ricostruzione della vicenda (in effetti la prova d’accusa è stata già cristallizzata prima dello svolgimento del processo), dice – nell’intervista video rilasciata a Saverio Forte – di rispettare la decisione del Gip Lo Mastro che ha dimostrato, sin dall’inizio, della vicenda “grande equilibrio e capacità critica. Del resto, fosse stato per le singolari valutazioni del solo consulente della pubblica accusa, staremmo oggi parlando di ben altra contestazione… ai limiti dell’aggravante della crudeltà”.
Se l’ordinanza del Gip del Tribunale di Cassino non chiarisce appieno – secondo la difesa – ancora il movente, forse economico, che avrebbe provocato il delitto, nel processo che si celebrerà, forse con il rito abbreviato, la famiglia di Langella si costituirà parte civile: “Si augurava che il proprio congiunto fosse deceduto per un incidente domestico – ha commentato l’avvocato Vincenzo Macari – ora ufficialmente ha saputo quanto immaginava: la sua morte è avvenuto per omicidio”.
Saverio Forte
Intervista all’Avv. Pasquale Cardillo Cupo
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