FORMIA – Un omicidio dettato dalla furia di Andrea Tamburrino che la notte del delitto sorprese Giuseppe Langella “colpevole” ad occupare la propria camera da letto che, l’unica collegata con Sky, gli permise di vedere una partita di calcio. E’ uno degli inquietanti aspetti che trapelano dall’ordinanza di custodia cautelare emessa con l’ipotesi di reato di omicidio preterintenzionale dal Gip del Tribunale di Cassino Massimo Lo Mastro nei confronti di Andrea Tamburrino, l’ex gigolò di Cellole di 42 anni, ma da anni trapiantato a Scauri, accusato di aver ucciso all’alba del 2 dicembre scorso l’amico Antonio Langella, autotrasportatore di 52 anni di Formia con cui viveva all’interno della villetta che occupavano in via Giovenale, in località Acquatraversa.
Nelle 47 pagine dell’ordinanza del Gip vengono ripercorse le tappe del rapporto amicale, tutt’altro che sereno, tra i due, i quali vivevano insieme solo per un mero e reciproco interesse opportunistico: Langella, dopo un matrimonio fallito, aveva bisogno di vitto e alloggio, Tamburrino di una persona che pensasse a tutto, a cucinare, a fare la spesa e a mantenere in ordine una monumentale villa per il cui pagamento dell’affitto ci pensava naturalmente il 42enne più volte finito nei guai con la giustizia per estorsione e truffa. Che i tra i due non vi fosse un rapporto sereno lo scrive il Gip Lo Mastro: “La loro convivenza era costellata da contrasti, verosimilmente causati dall’insoddisfazione del Tamburrino per le prestazioni domestiche e per l’atteggiamento trasandato del Langella”.
L’ordinanza di arresto, notificata a Tamburrino nel carcere di Cassino dove sta scontando dal 21 dicembre scorso un cumulo di pena di sei anni e mezzo per sentenze passate in giudicato, naturalmente non poteva non esordire dalle fasi drammatiche dell’aggressione mortale a Langella avvenuta nella camera da letto di Tamburrino. L’uomo avrebbe “spinto a terra con un’azione repentina l’autotrasportatore, immobilizzandolo in posizione prona con il proprio peso corporeo così da impedirgli i normali movimenti respiratori, sia dei muscoli costali che del diaframma.”
In una successiva azione il capo di Langella, che stava cercando una timida reazione, fu sbattuto sul pavimento della camera da letto di Tamburrino nell’area prossima al comodino posto alla destra del letto nonché sullo spigolo posto alla sinistra della camera stessa così provocando – scrive il Gip Lo Mastro sulla scorta della consulenza del proprio medico legale Daniela Lucidi redatta al termine dell’incidente probatorio – “contusioni ed escoriazioni a livello del distretto cranio-facciale e toracico di Langella che (Tamburrino) trascinava poi per una rampa di scale fino a deporlo sul pianerottolo dove è stato ritrovato il corpo per fingerne una caduta accidentale per le scale”. Ma come morì Langella? Il suo decesso fu provocato da “un trauma cranico con emorragia subaracnoidea, da un trauma toracico con fratture costali multiple e da un emotorace che, in sinergia tra loro, hanno determinato un’insufficienza cardiocircolatoria terminale acuta”.
Le prime pagine del provvedimento restrittivo, chiesto dal sostituto procuratore Chiara D’Orefice per il pericolo della concreta reiterazione dei reati, contengono, inoltre, le prime richieste di aiuto (la prima in assoluta ci fu alle 5.45’ e 56” del 2 dicembre 2016) formalizzate da Tamburrino alla centrale operativa dell’Ares 118. L’indagato era confuso, talmente confuso da dire “buonasera” anzichè “buongiorno”. Del resto il tono era concitato (“respira a malapena non solo so, non lo so, ho paura, non so che cosa è, non so che cosa s’è fatto”) ma con una sua personale certezza: Langella era caduto accidentalmente lungo le scale e respirava a fatica. I medici del 118 arrivarono alle 6.02, il dottor Arcangelo Maria Marsili diciotto minuti più tardi certificava l’avvenuto decesso di Langella dopo aver visto Tamburrino “agitato sì ma non presentava alcune segno di collutazione violenta, nè tantomeno lesioni personali”.
I primi rilievi furono eseguiti da lì a pochi minuti dai Carabinieri del Nucleo Radiomobile della Compagnia di Formia che raccolsero le prime dichiarazioni di Tamburrino (“mi stavo accingendo a portare i cani fuori quando dalla mia camera da letto ho sentito un tonfo dalle scale”) e di sua madre, Antonia Giacca, nel frattempo chiamata dal padrone di casa. La stessa donna un’ora più tardi richiamava l’attenzione dei sanitari del 118 e degli stessi Carabinieri perché suo figlio in un magazzino posto sul retro della villetta aveva tentato il suicidio procurandosi alcune lesioni, profonde un centimetro, alla base del collo”. Tamburrino risultò negativo al narco test. Lo disposero i medici dell’ospedale Dono Svizzero dove fu ricoverato sino al 5 dicembre , giorno in cui chiese di essere dimesso “conto la volontà degli stessi sanitari” – puntualizza il Gip Lo Mastro. Tra i reperti sequestrati a Tamburrino due coltelli da cucina, uno dei quali utilizzato per compiere gli atti di autolesionismo, e due cellulari, entrambi ricoperti di sangue. I due telefonini in uso a Langella furono ritrovati, invece, sul comodino della camera da letto del suo assassino, nello stesso luogo in cui assisteva alla partita di calcio in tv. E qui un primo sopralluogo dei Carabinieri permise di rinvenire “numerose e diffuse tracce ematiche”, un accertamento che gettava immediatamente nel discredito la tesi sostenuta dall’indagato, cioè che Langella era caduto improvvisamente dalle scale e, cadendo, aveva riportato il traumatismo letale”.
Tamburrino fu tradito, poi, da un rotolo di carta assorbente: fu trovato nella sua camera da letto con un alone ematico tipico di un uso precedente. Un fortissimo sospetto, molto di più di una prova che accertarono i Carabinieri dei Racis in tre distinti sopralluoghi compiuti il 5, il 12 ed il 14 dicembre 2016. Il luminol accertò la presenza di sangue di Langella nel bagno interno della camera da letto, verso la sua uscita, nel pianerottolo, lungo le scale e nella cucina, “un alone esteso dovuto ad un’azione di lavaggio del pavimento “ e “impronte plantari (di Tamburrino) che percorrono la scale, entrano un cucina e continuano all’esterno…”. Insomma si tratta della prova regina del delitto che, per certi versi, Tamburrino conferma nel corso del primo interrogatorio quando ammise l’azione della pulitura: “Io non ho buttato…avvocato io non….io non ho buttato nemmeno un fazzoletto nella scarico…io non ho fatto niente, quello che c’è…tutto quello che ho fatto…se ho preso un secchio…se l’ho fatto inconsciamente cosciamente”. Ma quando avvenne l’aggressione mortale? Secondo il consulente del Pm, il dottor Mariani, tra le 4.40 e le 5 del 2 dicembre, “almeno 45 minuti prima della chiamata al 118…”.
I rapporti tra Langella ed il suo omicida, inoltre, rappresentano un altro importante spaccato dell’ordinanza d’arresto del Gip Lo Mastro: “Il loro rapporto di reciproca convenienza caratterizzata la loro convivenza nella villa di via Giovanale dal 2014. Tamburrino – scrive il Gip del Tribunale di Cassino – offriva vitto e alloggio al Langella, il quale, separato dalla moglie e privo di autonome fonti di reddito, in cambio espletava lavori in casa che andavano dal preparare da mangiare, al sistemare e pulire tutti gli ambienti della casa. Al Langella erano intestate le utenze telefoniche in uso al Tamburrino ed anche il contratto di affitto dell’abitazione era stato stipulato a nome dello stesso Langella, il quale, in pratica, faceva da prestanome da Tamburrino”. La natura del rapporto tra i due è stato testimoniato da alcune persone, alcune delle quali donne o ex fidanzate di Tamburrino: “Langella svolgeva di fatto le mansioni di domestico e di maggiordomo. Veniva umiliato e ripreso in malo modo quando non ottemperava puntualmente alle disposioni ricevute”.
Un esempio? Il giorno del suo decesso a Langella venne trovato un foglio nei pantaloni su cui campeggiava la scritta ‘Le cose da fare’. E quando Tamburrino non era soddisfatto volavano pugni e schiaffi per Langella, vittima di autentiche aggressioni fisiche al punto da riportare ematomi, anche abbastanza vistosi, che “l’interessato riferiva sempre essersi procurato accidentalmente”. Stesso clichè con le donne che frequentava Tamburrino. Laura S. ha riferito di aver subito aggressioni fisiche almeno quattro-cinque volte nel corso della sua tormentata relazione sentimentale con Tamburrino. Il 42enne negli ultimi mesi del 2016 era preoccupato che terminasse il suo rapporto con la donna e, con esso, fosse destinatario – come gli avevano anticipato i suoi legali, gli avvocati Pasquale Cardillo Cupo ed Eliana Verdone – di un provvedimento d’arresto della Corte d’Appello di Roma, poi notificato il 21 dicembre, per cumulo di pena. Maria Paola L. tra il 29 ed il 30 ottobre 2016, invece, venne “spintonata e schiaffeggiata dal Tamburrino presso la sua abitazione di via Giovenale tanto – conclude il Gip Lo Mastro nell’ordinanza di arresto – da farla cadere in terra dove batteva la fronte riportando un forte ematoma.
Mentre era a terra urlante, il Tamburrino le mise una mano sulla bocca per non far sentire le urla, oltre ad inserirle due dita in bocca. Era in preda ad una rabbia spaventosa ‘Sembrava un soggetto posseduto dal diavolo e da occhi trasmettenti rabbia incuotendomi paura, tanto da aver pensato che mi volesse ammazzare”. Il destino, dopo un mese, ha certificato che ci fosse un’altra vittima, Antonio Langella, un uomo tanto buono quanto creditore con la vita.
Saverio Forte