Latina – Il senatore del gruppo misto Giuseppe Vacciano ha presentato una importante interrogazione sui rilievi ambientali effettuati dalla provincia di Latina al termine dei quali è stata redatta una “Vas” (valutazione ambientale strategica) che non tiene conto però della presenza di radionuclidi. Nel ritenere grave questa mancanza, il senatore chiede il recepimento delle normative europee che la prevedono e soprattutto di indicare una volta per tutte la sede del deposito nazionale unico per lo stoccaggio definitivo delle scorie nucleari. Per Vacciano non potrà essere certamente Latina, sia per la presenza nelle vicinanze dei siti di Borgo Sabotino, Garigliano e Casaccia, sia per la vicinanza al mare. Di seguito l’interrogazione completa.
La realizzazione del deposito nazionale per le scorie nucleari è un tema ancora avvolto da una suspense di natura politica, che sicuramente non verrà dissipata nel corso della XVII Legislatura, nonostante quanto afferma il Ministero dello sviluppo economico per voce del suo più alto rappresentante, il ministro Calenda. A suo dire, per il progetto relativo all’area idonea che sarà individuata per la realizzazione del deposito unico italiano: “sarà poi adottato definitivamente il Programma, con decreto del presidente del Consiglio, al più tardi entro il primo trimestre 2018” anticipando la “pubblicazione del Dpcm anche alla fine del quarto trimestre 2017 ma di base nel quarto trimestre dovremo mettere fuori la Carta”. Le dichiarazioni del Ministero dello sviluppo economico sono quindi smentite dall’attuale stasi politica che non contempla alcun dibattito parlamentare in tal senso, né, comunque, più concreti indirizzi del Governo;
nonostante questa scarsa determinazione della politica nazionale, gli enti locali continuano a produrre atti propedeutici al completamento dell’iter burocratico per la selezione del sito idoneo in cui costruire il deposito unico nazionale, luogo sul quale al momento è mantenuto il più stretto riserbo. Il Settore pianificazione urbanistica – Ecologia e ambiente della Provincia di Latina, infatti, l’11 settembre 2017 ha approvato la valutazione ambientale strategica relativa al “Programma nazionale per la gestione del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi”, notizia che ha allarmato l’opinione pubblica locale che intravedeva in essa un atto apripista alla costruzione di ulteriore deposito (nel territorio pontino è già stato realizzato un deposito temporaneo all’interno dell’ex centrale nucleare di Borgo Sabotino) a più lunga scadenza;
al netto delle legittime preoccupazioni popolari, chiunque si cimenti nella lettura del documento prodotto dalla Provincia di Latina potrebbe facilmente evincere una grave mancanza di coerenza a livello di controllo delle matrici ambientali: le indicazioni fornite dal Ministero dell’ambiente e della tutela del mare congiuntamente al Ministero dello sviluppo economico per la redazione del rapporto ambientale richiamano i piani regionali di tutela delle acque e dell’aria, i quali, almeno per la Regione Lazio, sono armonizzati al solo decreto legislativo n. 156 del 2006, testo che individua valori limite di molte sostanze inquinanti ad eccezione dei radionuclidi;
considerato che:
l’impianto dell’ex centrale nucleare di Borgo Sabotino, a pochi chilometri dal centro di Latina, che include anche un deposito temporaneo del materiale di risulta radioattivo prodotto dal decommissioning locale, verrebbe automaticamente escluso dalla lista dei siti idonei, soprattutto per quanto stabilito dal criterio di esclusione CE8 (“sino alla distanza di 5 km dalla linea di costa attuale oppure ubicate a distanza maggiore ma ad altitudine minore di 20 m s.l.m. Queste aree possono essere soggette ad ingressioni marine; sono, inoltre, caratterizzate dalla presenza di falde acquifere superficiali e di cunei salini, foci e delta fluviali, dune, zone lagunari e palustri. Gli effetti corrosivi del clima marino possono avere un impatto sulla resistenza alla degradazione delle strutture del deposito. Le aree in prossimità della costa sono, in generale, turistiche e densamente abitate”) esposto nella guida tecnica n. 29 pubblicata nel 2014 dall’Ispra. Inoltre, la provincia pontina, in quanto area geografica, mal si presterebbe, nel complesso, come luogo in cui stoccare tutti i rifiuti radioattivi nazionali e quelli di rientro dal riprocessamento all’estero, sia per la vicinanza con il mare per tutta la sua lunghezza, sia per la recente e crescente attività sismica locale, sia perché già penalizzata dall’ingombrante presenza della stessa centrale di Sabotino, che già arreca disagi ambientali e sanitari, dai vicinissimi impianti del Garigliano (Caserta) e di Casaccia (Roma), e, non da ultimo, dalle diverse fonti di inquinamento (l’immensa discarica di Borgo Montello tra tutte) ad oggi lasciate al loro destino dalle istituzioni che penalizzano la provincia pontina quasi da farle guadagnare l’epiteto di nuova “terra dei fuochi”;
il piano di tutela delle acque regionali, approvato con deliberazione del Consiglio regionale n. 42 del 2007, e il piano per il risanamento della qualità dell’aria, approvato con deliberazione del Consiglio regionale n. 66 del 2009, come richiamati nella VAS prodotta dal Settore ecologia e ambiente della Provincia di Latina (prot. n. 40451 dell’11 settembre 2017), indicano soglie massime di inquinamento “solo per le emissioni di inquinanti convenzionali disciplinati dal D. Lgs. 152/2006 in quanto i Piani di cui sopra non riguardano inquinanti radiologici di scarichi aeriformi e liquidi prodotti da processi di trattamento e consolidamento di rifiuti radioattivi”, discrasia che, oltre ad inficiare alla base le valutazioni ambientali per la scelta del futuro sito di stoccaggio, altera la possibilità di monitorare efficientemente la qualità dell’ambiente delle zone in cui già si stoccano, seppur in maniera “temporanea”, rifiuti radioattivi frutto dello smantellamento in loco;
considerato, inoltre, che:
la più recente direttiva 2013/59/EURATOM all’art. 72, rubricato “Programma di monitoraggio ambientale”, recita: “Gli Stati membri provvedono affinché sia adottato un programma di monitoraggio ambientale adeguato” azione propedeutica alle garanzie offerte alla popolazione da quanto stabilito nel successivo art. 73 relativo alle zone contaminate: “Gli Stati membri provvedono affinché le strategie di protezione ottimizzate per la gestione delle zone contaminate includano, se del caso, quanto segue: [omissis]”;
la direttiva ancora non è stata recepita all’interno dell’ordinamento italiano, poiché non inserita in alcuna legge di delegazione europea approvata fino ad ora dal Parlamento nazionale, vale a dire che quanto statuito dal legislatore comunitario non è propriamente una garanzia per un cittadino italiano che avesse intenzione di fare appello al sistema normativo vigente per la propria tutela. Il termine ultimo per l’assorbimento nel complesso delle norme italiane di questa fonte del diritto dell’Unione europea dotata di efficacia vincolante è il 6 febbraio 2018, pena ulteriore apertura di ennesima procedura di infrazione nei confronti dell’Italia;
in attesa del recepimento della nuova direttiva 2013/59/EURATOM è al momento in vigore il decreto legislativo n. 230 del 1995, recante “Attuazione delle direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 92/3/Euratom e 96/29/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti”. Nelle linee guida per il monitoraggio della radioattività redatto da Ispra e Arpa Lazio nell’anno 2012, avverso la piena attuazione del decreto legislativo, si lamentava che: “La gestione delle reti regionali effettuata dalle singole Regioni e il coordinamento tecnico delle reti nazionali effettuato da ISPRA è previsto che siano svolti secondo direttive impartite dai due Ministeri, le quali, però, non sono state ancora emanate ai sensi del citato Decreto Legislativo (230/95)”;
a parere degli interroganti, è importante che vengano al più presto dipanati i problemi istituzionali e normativi finora rappresentati, in modo che i cittadini possano avere una reale dimostrazione di integrità morale e politica di un Esecutivo che chiede loro di adeguarsi a decisioni difficili, come, ad esempio, l’imposizione dall’alto di un deposito unico nazionale sul proprio territorio, ovunque sarà dislocato, forti della tutela istituzionale che potrebbe essere loro garantita a livello ambientale e sanitario, se venissero pienamente attuate e armonizzate tra loro leggi e direttive europee, nonostante l’opinabile gestione economica e programmatica da parte di Sogin del decommissioning delle centrali esistenti,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza dei fatti esposti;
se ritengano opportuno procedere con la massima sollecitudine a favore del recepimento della direttiva 59/2013/EURATOM entro il 6 febbraio 2018, per evitare l’apertura dell’ennesima procedura di infrazione nei confronti dell’Italia e per concedere ai cittadini italiani di avvalersi della tutela della più recente normativa comunitaria;
se, nell’ambito delle rispettive competenze, convengano sull’urgente necessità di armonizzazione dei piani di tutela di acqua e aria alla nuova direttiva 59/2013/EURATOM (una volta recepita) e a tutti gli altri atti aventi forza di legge nazionali relativi alla radioprotezione delle persone, quindi non solo al decreto legislativo n. 152 del 2006;
se non ritengano doveroso garantire la piena attuazione del decreto legislativo n. 230 del 1995 tramite l’adozione delle direttive ministeriali la cui mancanza è stata lamentata nel 2012 nella prefazione delle linee guida per il monitoraggio della radioattività redatto da Ispra e Arpa, qualora non si fosse già provveduto in tal senso;
se non intendano chiarire definitivamente dove verrà realizzato il deposito unico nazionale in ossequio ai criteri pubblicati dall’Ispra, al fine di evitare allarmismi causati dal susseguirsi di dichiarazioni e notizie spesso travisabili, affinché venga portato a termine un impegno assunto e vieppiù ostentato a suon di dichiarazioni dai rappresentanti ministeriali competenti in materia dell’attuale Governo.