FORMIA – “Il boss Francesco Bidognetti dirige dal carcere le attività del clan dei Casalesi tramite la figlia Katia. Anche quando abitava nel sud pontino e, nello specifico, a Formia”. Lo afferma la quinta sezione penale della Cassazione, presieduta dalla dottoressa Maria Vessichelli, nella motivazione della sentenza che ha respinto il ricorso proposto dalla giovane figlia di Bidognetti confermandone la custodia cautelare in carcere eseguita lo scorso gennaio da parte del gruppo di Formia della Guardia di Finanza nella sua nuova abitazione di via Madonna di Ponza. Si tratta di una misura applicata dal gip del tribunale di Napoli e confermata dal Riesame. Oltre alla partecipazione attiva all’associazione di tipo mafioso, la Bidognetti è accusata anche di estorsione ai danni dei gestori dell’azienda Mama Casa, costretti ad acquistare, per l’esorbitante cifra di quindicimila euro, una partita di vini venduta da Giovanni Lubello, l’ex marito della stessa Bidognetti.
La donna aveva impugnato le modalità delle intercettazioni ambientali effettuate nella sua Fiat Idea in base a un decreto urgente emesso dal pubblico ministero il 7 ottobre 2013. Un decreto privo, a giudizio della difesa, di adeguata motivazione in ordine ai presupposti dell’attività intercettativa, svolta per di più attraverso l’utilizzo di impianti diversi da quelli esistenti in Procura.
A tal proposito la Suprema Corte ha precisato: “In tema di intercettazione di comunicazioni o conversazioni, la motivazione sulle ragioni di eccezionale urgenza per l’uso di impianti in dotazione della polizia giudiziaria (a norma dell’art. 268, comma terzo del Codice di procedura penale), è assorbente rispetto ai profili tecnici di inidoneità funzionale degli impianti della Procura della Repubblica, sicché, in tal caso, l’omessa indicazione specifica dei precisati aspetti tecnici non è causa di nullità o inutilizzabilità del decreto di intercettazione”.
Saverio Forte