FORMIA – Di quante e quali complicità ha beneficiato per trascorrere negli ultimi tempi la sua latitanza a Formia. Lo stanno accertando i Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Giugliano e del Gruppo di Castello di Cisterna dopo l’arresto, avvenuto al termine di un conflitto a fuoco nella serata di venerdì in piazza S.Erasmo nel “cuore” del quartiere medioevale di Castellone, di Filippo Ronga, di 41 anni, pluripregiudicato, ritenuto affiliato al clan camorristico “Ranucci” dominante a Sant’Antimo ed in altri comuni a nord di Napoli. Ronga a Formia si trovava da alcuni giorni e, affiancato da due guardiaspalle, poco più che trentenni, aveva preso in affitto un’abitazione in via della Torretta, non molto lontano da piazza S.Erasmo e dal Cisternone romano di Castellone. I tre hanno operato autonomamente o hanno goduto di un’assistenza, di un supporto locale? Lo stanno cercando di accertare ora le delicate indagini dei Carabinieri del Colonnello Gaspare Giardelli, affiancati dai colleghi della Compagnia di Formia che, guidati dal Maggiore David Pirrera, sono coordinati dal sostituto procuratore della Repubblica di Cassino Marina Marra.
Ronga sarebbe stato avvistato nel quartiere di Castellone già dalla giornata di mercoledì e sempre in compagnia dei due luogotenenti, di cui una donna. I Carabinieri li tenevano sott’osservazione già dalla mattinata di venerdì e hanno deciso di entrare in azione intorno alle 20.30 quando il terzetto proveniva a piede da via Gradoni del Duomo. Ronga ha capito subito che la sua latitanza – iniziata dall’aprile del 2013 – era giunta al capolinea. All’”alt” dei militari prima opponeva una forte resistenza, poi estraeva una pistola semiautomatica calibro 9×21, marca Tanfoglio, poi risultata con matricola abrasa, carica e con il colpo in canna, puntandola contro un carabiniere in borghese. Ne seguiva un drammatico conflitto a fuoco nella piazza e davanti ad alcune attività commerciali ancora aperte: un altro carabiniere esplodeva tre colpi con l’arma d’ordinanza ferendo Ronga al torace ed una gamba mentre i suoi due accompagnatori veniva bloccati tra la folla terrorizzata.
Il 41enne di Sant’Antimo, colpito da un ordine di carcerazione emesso dal Tribunale di Avellino per una condanna da espiare di 4 anni di reclusione per rapina e da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per lo stesso reato, terminava la sua serata all’ospedale Dono Svizzero dove veniva sottoposto ad un delicato intervento chirurgico terminato in nottata. Lo effettuava l’equipe composta dai dottori Viola e Canfora, con il supporto dell’anestesista, dottoressa Colicci, e del personale della sala operatoria del nosocomio formiano. Secondo quanto è trapelato il 41enne pluripregiudicato ha perso molto sangue ma, al termine dell’intervento, ha presentato comunque un quadro clinico tuttosommato soddisfacente.
Si trova piantonato ma se la caverà: è stato comunque arrestato per tentato omicidio, porto abusivo di arma clandestina e resistenza a pubblico ufficiale alla stessa stregua dei due fiancheggiatori, in manette per favoreggiamento, resistenza e lesioni personali e, su richiesta dell’autorità giudiziaria, trasferiti nei carceri di Cassino e Roma Rebibbia. Terminava così una serata movimentata dove la paura per tanti formiani è stata tanta. Di certo, i Carabinieri erano da tempo sulle tracce di Ronga – come ci ha confermato il Colonnello Gaspare Giardelli – da quando, soprattutto, era interessato a conquistare, il comando del clan, nonostante il suo “status” di latitante. Un vuoto lasciato in seguito agli arresti di boss e gregari del clan di appartenenza che ha ha scatenato, secondo gli inquirenti, le fibrillazioni sul territorio a nord di Napoli.
Nei mesi scorsi l’ala Ronga dei Ranucci si era armata, forse per difendersi dopo i raid intimidatori accaduti durante l’estate del 2017. Nell’aprile dello scorso anno, infatti, la moglie del latitante di Sant’Antimo fu il bersaglio di un’azione intimidatoria culminata con l’esplosione di una bomba carta contro la serranda del negozio “L’angolo di Luisa” in via Garibaldi. L’ultima relazione della Dia aveva ricostruito gli scenari criminali tra Grumo e Sant’Antimo. I clan di Sant’Antimo (Verde, Puca, Petito-Ranucci- D’Agostino- D’Agostino-Silvestre), Casandrino (Marrazzo) e Grumo Nevano (Aversano) sono accomunati dall’assenza di capi carismatici, tutti detenuti; la reggenza è stata quindi affidata a personaggi di secondo piano, comunque in grado di mantenere il controllo del territorio. Il clan Puca sarebbe costituito da un nucleo storico di affiliati ma, per le estorsioni e lo spaccio di stupefacenti, si servirebbe di giovani leve, arruolate di volta in volta tra i pregiudicati locali. Il sodalizio è stato significativamente depotenziato dagli arresti. A dicembre, è morto, per cause naturali, a Viterbo, dove si trovava agli arresti domiciliari, un componente della famiglia Petito.
Nell’ultima parte dell’anno, a Sant’Antimo, si sono registrati attentati verosimilmente legati a contrasti per la spartizione delle piazze di spaccio. Il comune di Grumo Nevano, ricco di piccole e medie aziende, è storicamente assoggettato all’influenza criminale del clan Aversano. Lo stato di detenzione dei suoi vertici ha consentito lo sconfinamento dei clan di Sant’Antimo, interessati alla gestione delle estorsioni e del traffico di droga. Analogamente ad altre aree comunali confinanti, è presente una microcriminalità proveniente dalle aree arzanese, di Sant’Antimo e di Secondigliano, dedita soprattutto a reati predatori (scippi, rapine, furti).
Saverio Forte