FONDI – Gli assenti – come sempre – hanno avuto torto. Le celebrazioni del centenario della nascita di uno dei “padri” nobili del neo realismo italiano Giuseppe De Santis – avvenuta l’11 febbraio 1917 – non potevano non conoscere un migliore epilogo nel corso di un intenso, ricco e irripetibile pomeriggio culturale organizzato dall’associazione culturale che porta il nome del regista di film come “Giorni d’amore” e “Non c’è pace tra gli ulivi”. La ciliegina della torta in un gremitissimo e accogliente auditorium della nuova direzione della Banca Popolare di Fondi è stata la “lectio magistralis” dell’attore italiano più importante dell’ultima generazione, Carlo Verdone. Il regista di “Bianco, Rosso e Verdone” doveva fornire una risposta ad un intricante e, per verti versi, paradossale quesito, l’esistenza o meno di un elemento comune denominatore che accomuni il neo realismo italiano, di cui Peppino De Santis è una delle massime espressioni artistiche nel dopo-guerra, e la commedia che ha in Verdone il suo più genuino e vero rappresentante. E la risposta è stata scontata ed il pubblico è stato aiutato a realizzare questa ricerca attraverso la visione di alcuni film del neo realismo dai quali la commedia e, in particolar modo, la cinematografia di Verdone si è alimentata.
Il regista romano l’ha detto chiaramente: “Il neo realismo è stata l’Italia che si ribellava ai soprusi e alle ingiustizie, la commedia gli ha aggiunto un linguaggio graffiante. La grandezza di De Santis – ha aggiunto Verdone – è tutta qui: è stato un precursore per il varo e l’applicazione di un nuovo linguaggio cinematografico. Fondi fa bene a tributargli onore ed un giusto ricordo: De Santis, Domenico Purificato e Libero De Libero sono intellettuali di cui l’intera comunità fondana deve andare fiera, le hanno permesso infatti di ottenere uno sdoganamento culturale che andrebbe compiuto anche nelle scuole”. L’incipit di Verdone, in effetti, in questo anno “Desantisiano” è stato raccolto da diversi istituti comprensivi di Fondi e Monte San Biagio che hanno realizzato alcuni corti ispirati ai due film girati da De Santis nella Fondi bucolica, ingenua e ancora impaurita dalle tragedie della guerra, “Non c’è pace tra gli ulivi” e “Giorni d’amore”. La scuola può e deve fare molto a tal riguardo e Verdone la sua proposta l’ha fatta durante la sua amabile conversazione rinnovando una proposta contenuta in un servizio pubblicato la scorsa sul quotidiano cattolico “L’Avvenire”: il cinema dovrebbe essere materia di studio a scuola perché “è una delle poche espressioni artistiche a sviluppare il senso critico ai ragazzi. Esistono dei film che raccontano meglio di come fanno alcuni libri la società del proprio tempo. Certo la scuola oggi ha già mille problemi e mi rendo conto che se ci andiamo a mettere anche il cinema…”
Il successo della serata, poi, è stato reso possibile dall’apporto, molto incisivo (e a tratti ironico) dell’intervistatore di Verdone, il segretario dell’associazione “Giuseppe De Santis”, Marco Grossi. La prima gag della serata è stata la sua quando ha aperto un fogliettino annunciando che un “bambino ha perso la nonna”. Era la frase cult di uno film di Verdone “Bianco Rosso e Verdone” che, spuntando improvvisamente dal fondo dell’auditorium di via Appia, salutava il pubblico fondano con la frase pronunciata da Mimmo a Sora Lella, “Eccomi nonna”. E di Elena Fabrizi Verdone ha parlato tanto e a ragione: “Faceva parte di quella generazione di caratteristi che esprimeva il mondo reale nei modi migliori. Ora quella generazione non esiste più. Il cinema di oggi si fa male con le sue stesse mani, è autolesionista e non è più in grado creare una coralità di caratteri”. Ha raccontato, poi, alcuni aneddoti sul suo rapporto con la ristoratrice di Trastevere: “Il suo nome me lo fece un amico barista perché curava una rubrica in una radio privata di Roma in cui rispondeva al marito o alla moglie reduce da un tradimento coniugale. E poi mangiava, mangiava, mangiava tanto. Mi misero in allarme anche Sergio Leone, che temeva che Sora Lella ‘schiattasse’ sul set da un momento all’altro, e il fratello, Aldo Fabrizi che chiedeva cosa trovassi di buono in sua sorella. Era solo tanta invidia – ha chiosato Verdone – e basta”.
Nel dialogo con Marco Grossi Carlo Verdone con molta umiltà e, a tratti, con commozione ha ripercorso le fasi iniziali della carriera che, dopo il diploma presso il centro sperimentale di cinematografia, non è stato affatto facile. Il debutto nel 1977 al teatro “Alberighino” di Roma fu drammatico. Era un locale underground con due sale nei quali cominciava a muovere i suoi primi passi anche un giovanissimo Roberto Benigni. “Seppi che sarebbero venuti alcuni critici – ha ricordato Verdone – quelli che a volte pensano di essere più intelligenti dei spettatori normali. Ero terrorizzato e chiesi a mia madre di chiamare in teatro per comunicare che non sarei andato perché non stavo bene. Mia madre, invece, mi diede un calcio nel sedere e mi cacciò letteralmente di casa. Questa trovata fu la fortuna della mia carriera. La quinta sera, al mio spettacolo c’era un solo spettatore che si rivelò essere il critico di “Paese Sera” Franco Cordelli: nell’edizione del pomeriggio del giorno dopo pubblicò una recensione sul mio monologo e scrisse che era nato il nuovo Fregoli. Da quel giorno aumentarono gli spettatori e dovetti chiedere di traslocare nella sala più grande del teatro “Alberichino”. Carlo Verdone, inoltre, ha parlato del suo speciale rapporto con suo padre, un intellettuale raffinatissimo, docente di storia e critica del film presso il centro sperimentale: “Gli chiesi, lo pregai a casa la sera prima di farmi delle domande sul neorealismo e su Fellini per tentare di superare quell’esame. Mio padre – ha rivelato il regista romano – fu implacabile: mi chiese di parlare di due autori che non avevo studiato, Pabst e Dreyer, non risposi e mi invitò a sostenere l’esame in un’altra sessione. Fu l’unica volta che chiesi una raccomandazione…. andò male e mio padre fu contento” .
La pregevole serata è stata impreziosita anche dagli interventi finali del sindaco di Fondi Salvatore De Meo, del direttore generale e del presidente della Banca Popolare di Fondi , Gianluca Marzinotto e Giuseppe Rasile. Soprattutto i massimi dirigenti del prestigioso istituto di credito hanno sottolineato l’altissima valenza culturale dell’iniziativa che ha concluso, dopo un anno, le celebrazioni per il primo secolo dalla nascita di De Santis. Il “sold out” dell’auditorium ha confermato, poi, come l’apertura della Banca popolare di Fondi a favore del vivace associazionismo fondano incarni pienamente quella mission in base alla quale la Bpf è “realmente al servizio del territorio e della sua crescita sociale, economica e, perché no – hanno concluso Marzinotto e Rasile – e culturale”. Il congedo di Verdone è avvenuto dopo oltre due ore con un “scusatemi, mi aspettano a Roma per una festa di compleanno”. L’avvocato Virginio Palazzo dell’associazione “DE Santis” gli ha chiesto di tornare presto. L’interessato ha concluso con una promessa: “Non dovete aspettare altri 43 anni- ha rivelato – Venni qui nel 1975 per girare uno dei primi documentari sui castelli del Lazio. Trovai poche casa di campagna ed il Castello nella piazza del paese. Le case – ha concluso Carlo Verdone – ora sono molte di più, il Castello è sempre lì…nella sua magnificenza e bellezza”. Come tanti fondani.
Saverio Forte
Intervento di Carlo Verdone
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Intervista al Sindaco Salvatore De Meo