FORMIA – La tragedia consumata in località Colle dei Pini a Cisterna di cui è stato assoluto protagonista il 44enne appuntato dei Carabinieri Luigi Capasso ha richiamato un altro analogo e gravissimo fatto di cronaca che interessò due comunità, Formia e la calabrese Diamante, in provincia di Cosenza. A compiere un autentico gesto di assoluta follia fu un altro Carabiniere, un altro rappresentante delle forze dell’ordine, che non accettava la decisione della moglie di lasciarlo, di aver avviato le pratiche della separazione. Era il 20 novembre 1996 e Alfredo Valente di anni ne aveva 33, 13 dei quali li aveva trascorsi al servizio dell’Arma per la quale, sin da bambino, provava un fascino, rispetto, alla stessa stregua di un fratello e di due zii. Valente i primi quattro anni di servizio li prestò a Napoli e, poi su sua richiesta, nel 1991, venne trasferito presso la stazione di Formia dei Carabinieri. Quello fu un anno importante perché sposò, dopo sei mesi di fidanzamento, la ragazza che tanto adorava, Genoveffa “Genny” Salemme. I due decisero di andare a vivere inizialmente in via Palazzo Condotto, nel quartiere di San Pietro, non molto lontano dallo stadio di calcio Nicola Perrone, e poi al civico 15 di via Gramsci, nel rione di Mola, nella zona sovrastante la chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista.
Inizialmente il loro fu un matrimonio felice dal quale nacque Alessandra cui era tanto legato il papà Carabinieri. L’unione tra Alfredo e Genny fu rafforzata da alcuni problemi di salute della bimba sino a quando, nel 1994, qualcosa si incrinò. La donna frequentemente tornava a casa, in Calabria, nei pressi di Diamante, e sempre per periodi più lunghi. A Formia era rimasto solo Alfredo Valente, dal carattere taciturno e silenzioso, che temeva di perdere moglie e figlia. La sera che precedette la tragedia il militare aveva chiesto di parlare con il suo avvocato di fiducia Vincenzo Macari: voleva che Genny e Alessandra tornassero a vivere con lui a Formia. Il legale lo tranquillizzò, promise che avrebbe trovato un modo, un espediente, per ricomporre la sua storia e salvare il matrimonio. Ma il Carabiniere “che non parlava mai” aveva paura di non farcela e così la follia esplose il 20 novembre 1996. Quel giorno e quello successivo era fuori servizio e, dopo l’ultima telefonata in cui la moglie gli espresse l’irrevocabile decisione di separarsi, partì da Formia alle 16.30 dotato della pistola calibro 9 parabellum d’ordinanza e di un caricatore di scorta. Elementi inequivocabili per immaginare quello che sarebbe avvenuto alle 21, orario di arrivo a Buonvicino, presso l’abitazione dei suoceri, dei genitori di Genny . Il carabiniere in servizio a Formia aprì il fuoco ed in una tragica sequenza vengono uccisi la moglie, di 33 anni, i genitori di lei, Raffaele Salemme, di 75 anni, Marianna Amoroso, di 72 anni, Franca Salemme, di 38 anni, e Luigi Benvenuto, di 39 anni, uomo con il quale – si seppe successivamente – intratteneva una relazione extraconiugale.
Tra le urla dei bambini presenti e in un lago di sangue si consumò il momento più drammatico di questa insensata serata di follia. Fabiana Benvenuto, di 11 anni, figlia dei cognati di Valente, pianse tanto e si aggrappò al cadavere della mamma con il cappotto appena indossato. Valente in questa tragica vicenda ha avuto solo un momento di tenerezza, forse di compassione quando invitò Fabiana a raggiungere fuori la cuginetta Alessandra ed il fratellino di 3 anni, Marco. La bambina disse di no e venne fulminata con un colpo alla testa, un’atroce esecuzione a angue freddo. Ma questa drammatica storia non si esaurì qui. Valente tagliò i fili del telefono e costrinse sua figlia e suo nipote a salire sulla sua Audi 80. Cominciò un lungo viaggio in direzione nord, in direzione di San Vigilio di Concesio, in provincia di Brescia, dove viveva un altro cognato, Giovanni Salemme, insegnante di 46 anni, con la moglie ed una figlia di 11 anni. Valente era fuori sé ormai, guidò ad altissima velocità tanto da fondere il motore dell’auto. All’alba, sull’A21 tra Piacenza e Cremona, dovette fermarsi e chiedere soccorso all’Aci per poter proseguire il suo viaggio a bordo di un taxi. La destinazione era l’abitazione dei suoi cognati per consegnare i due bambini infreddoliti che aveva con sé (Marco era ancora sanguinante perché ferito di striscio durante la sparatoria a casa dei nonni, in Calabria).
L’unico errore l’ormai ex Carabiniere, che nel frattempo di era allontanato forse per suicidarsi, lo commise in un bar del paesino delle campagne bresciane: chiamò al telefono la cognata infermiera per sincerarsi delle condizioni della figlia Alessandra. Ma non sapeva che quel telefono era ormai sotto controllo. La cognata lo convinse a ritornare a casa ma Valente trovò i suoi colleghi di lavoro: si fece ammanettare sì ma con la richiesta di “fare qualche passo in avanti per essere ucciso alle spalle…” Dichiarazioni agghiaccianti di un uomo dal carattere molto chiuso, legato alla famiglia, che non voleva restare solo dopo l’annunciata volontà della moglie di separarsi. In effetti Valente solo è rimasto: condannato in primo grado a 30 anni di reclusione, il processo di appello non si è mai celebrato. Una perizia psichiatrica stabilì che il militare della Stazione di Formia un dibattimento non avrebbe potuto sostenerlo. Così è stato e si aprirono per lui le porte del manicomo criminale. Ad ascoltare più volte lo sfogo di Valente furono gli allora comandanti del comando provinciale dei Carabinieri di Latina, Vittorio Tommasone, e della stazione di Formia dell’Arma Lucio Belli: apprezzarono nel militare calabrese la volontà, i suoi tentativi che stava esperendo per trovare una formula per mantenere in vita un matrimonio segnato, condannato alla sua conclusione a cinque anni dall’inizio. Valente voleva riacciuffare quel filo che sembrava aver smarrito.
A causa delle lunghe assenze della moglie chiese di essere trasferito presso la scuola allievi Carabinieri di Reggio Calabria ma il suo ottimismo a “ricominciare a vivere” lo spinse a revocare quella domanda di trasferimento. Formia non piaceva a Genny? Tutto falso – dissero all’epoca i vertici della Compagnia di Formia dell’Arma. Era semplicemente sconvolto per l’allontanamento della moglie – disse ai cronisti provenienti da ogni angolo d’arte un suo inquilino noto, il professor Filippo Di Maio, l’ex ed attuale direttore del complesso bandistico “Umberto Scipione-Città di Formia – Lo era ancor di più dopo che moglie gli aveva detto a chiare lettere – ha rivelato l’avvocato Vincenzo Macari – che non provava più nulla per lui” . Lui, Alfredo Valente, il Carabiniere silenzioso, ne era ancora innamorato.
Saverio Forte
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