GAETA – Due anni dalla tragedia ma ancora nessuna responsabilità su quanto avvenuto. Di nessun tipo. Allarga le braccia l’avvocato Vincenzo Propenso, il legale di parte civile della famiglia di Giulio Oliviero, il comandante del “Rosinella”, il peschereccio che, partito dal Molo Azzurra di Formia, fece perdere le proprie tracce la notte del 19 aprile 2016 a sette miglia a largo del litorale di Baia Domizia con altri due membri dell’equipaggio, tutti deceduti: marittimi tunisini Khalipa e Saipeddine Sassi, padre e figlio di 60 e 25 anni. L’avvocato Propenso ha voluto esternare il malessere della moglie del comandante Oliviero, la signora Rosa Imperato, che non si capacità delle mancate risposte da parte del Tribunale di Cassino: il Gip non ha esaminato ancora, a distanza di diversi mesi, l’opposizione della signora Imperato (che del “Rosinella” era ufficialmente l’armatrice) contro il decreto di archiviazione del procedimento contro ignoti con l’accusa di disastro colposo emesso dal magistrato titolare delle indagini, il sostituto procuratore Marina Marra.
La famiglia del comandante Oliviero aveva deciso di passare al contrattacco sollecitando un’opposizione alla richiesta della Procura. Ma l’istanza non è stata ancora presa in esame e questa situazione rende ancor più amaro il secondo anniversario della tragedia della barca che durante la stagione invernale e primaverile ormeggiava presso il porto pescherecci di Formia: “Il Gip si esprima e lo faccia al più presto – ha commentato l’avvocato Propenso – I familiari attendono un pronunciamento sull’istanza di opposizione al decreto di archiviazione del Pm Marra, soprattutto accertare la reale verità: l’inabissamento del “Rosinella” è stato provocato da fattori esterni e non – ha aggiunto l’avvocato Propenso – dalla qualità e dal tipo di manutenzione del peschereccio”.
Insomma a distanza di due anni esatti dalla tragedia è in corso ancora una “guerra” di perizie. Con le sue dichiarazioni del legale di parte civile l’avvocato Propenso (il collega Antonio Crisci assiste i familiari dei due marittimi tunisini morti nell’affondamento) ha voluto contestare apertamente il contenuto della perizia disposta dal sostituto procuratore Marra che, effettuata dall’esperto di sicurezza della navigazione Giovanni Di Russo, ha lamentato una sorta di superficialità nella gestione e nella manutenzione del “Rosinella” nelle settimane che precedettero la tragedia. In altre parole il peschereccio sarebbe affondato per la rottura improvvisa di uno dei due manicotti d’acciaio del sistema di raffreddamento del motore oggetto qualche giorno prima della tragedia di alcuni interventi di manutenzione presso un cantiere navale di Terracina.
La perizia della Procura aveva evidenziato come l’affondamento del peschereccio – recuperato senza alcuna lesione – fosse avvenuto in pochissimi minuti, alle 21.40 del 19 aprile 2016 e con un piano di sicurezza «contraffatto»: l’Epirb – un sonar che si aziona a contatto con l’acqua – non sarebbe stato azionato e la zattera di salvataggio sarebbe stata trovata legata a bordo del natante, probabilmente per timore di furto nello stesso porto di Formia.
La richiesta di opposizione della parte civile fa leva, invece, sul contenuto di una perizia di parte. E’ stata redatta dall’ingegnere navale militare Domenico Pisapia di Salerno e da quello meccanico Sebastiano Molaro, due esperti che arrivano ad una semplice conclusione: è impossibile che affondi in pochi minuti una paranza, con un quella stazza, 28 tonnellate, per la sola rottura di un giunto d’acciaio. Un peschereccio di ben 28 tonnellate per affondare ha bisogno dalle quattro alle cinque ore e non di pochi minuti e, pertanto, ci sarebbe stato tempo e modo per i tre membri dell’equipaggio di dare l’allarme, di salire sulla zattera di salvataggio e, al limite, di gettarsi in mare. E invece i due marittimi tunisini sono stati trovati cadaveri a 65 metri di profondità ed il corpo del comandante “rinchiuso” in una botola, in avanzato stato di decomposizione, in occasione del recupero, dopo sei mesi, del “Rosinella”.
Gli ingegneri Solaro e Pisapia hanno ricordato nella loro consulenza che l’ultimo contatto telefonico tra il comandante e la moglie avvenne intorno alle ore 21, 50 minuti più tardi era in corso ancora una battuta a strascico e lo confermerebbe la condizione di tensione con cui sono stati trovati i cavi d’acciaio per praticare questo tipo di pesca. Le reti, parte delle quali sono state trovate in fondo al peschereccio, sono rimaste impigliate in qualcosa, in un areo precipitato, in un sommergibile in transito? E gli oggetti del “Rosinella” trovati spostati su di un lato, quasi accantonati, e la barca, integra e senza problemi di galleggiamento, è partita, dopo il suo recupero, da Gaeta per tornare autonomamente nel porto di Castellamare di Stabia…? Insomma tante ipotesi a fronte di una tragedia, di tre morti, che per la Procura di Cassino – almeno per il momento – non hanno responsabilità.
Saverio Forte
Intervista al pescatore che ha trovato il relitto del peschereccio “Rosinella”
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