FORMIA – Un formale vizio di notifica ai danni di uno degli otto indagati (il 92enne Francesco Battista) ha provocato il rinvio dell’udienza preliminare in programma davanti il Gup del Tribunale di Cassino Vittoria Sodani per la discussa riconversione dell’ex colonia “Federico Di Donato” nel quartiere medioevale di Castellone a Formia. Se la richiesta di rinvio a giudizio era formalizzata dal procuratore capo di Cassino Luciano D’Emmanuele e dal Sostituto Procuratore Alfredo Mattei (rappresentati in udienza dal sostituto procuratore Beatrice Siravo) con le ipotesi di reato di frode nelle pubbliche forniture, falsità ideologica e truffa aggravata ai danni di un ente pubblico, il processo è stato così rinviato al prossimo 27 novembre e, dunque, dovranno ancora attendere per fare chiarezza e tentare di far rivendicare le loro legittime aspettative di difesa le otto persone che hanno avuto a che fare con la riconversione, promossa ed appaltata dall’Ipab della Santissima Annunziata, dello storico ed antico immobile per il quale era prevista la trasformazione in un ostello per i figli degli emigranti laziali nel mondo.
Il mezzo passo falso per lo svolgimento dell’udienza preliminare è servito comunque, per definire gli enti che hanno deciso di costituirsi parte civile contro gli otto imputati. Hanno annunciato questa volontà gli avvocati Arturo Bongiovanni per conto della Regione Lazio, Michele Lioi (Ipab della Santissima Annunziata) e, dopo la delibera del commissario straordinario Maurizio Valiante, il comune di Formia era rappresentato dal dirigente della propria avvocatura Domenico Di Russo. La motivazione di partecipare al processo era stata praticamente la seguente: dopo la risoluzione del contratto del comodato d’uso con l’Ipab della Santissima Annunziata l’ex colonia Di Donato non è stata riconsegnata al Comune di Formia come sarebbe dovuto avvenire, in più l’aspetto architettonico e funzionale dell’immobile è stato completamente alterato e per il suo ripristino – scriveva l’avvocato Valiante – è necessaria una attività straordinaria ed oltremodo costosa, per cui ad oggi l’immobile risulta inutilizzato ed in condizioni fatiscenti, per di più sottratto all’uso della collettività”.
A tentare di evitare il processo per il recupero storico ed architettonico dell’immobile risalente al 1300, tuttavia, saranno Raniero De Filippis, ex dirigente del settore Servizi sociali della Regione Lazio, i funzionari regionali Erasmo Valente, Giovanni Falco, Andrea Fumi e Giorgio Maggi – i cinque comparsi fisicamente davanti il Gup Sodani – il responsabile unico del procedimento Roberto Guratti e gli imprenditori Francesco e Umberto Battista della Sacen di Formia. A promettere ancor di più battaglia saranno a novembre i legali degli otto indagati – gli avvocati Luigi Panella, Andrea Di Croce, Luca Scipione, Vincenzo Macari, Valeria Simeoni e Giorgia Bonfanti – impegnati a tentare di demolire il castello accusatorio della Procura di Cassino che si è sempre opposta allo svolgimento di un incidente probatorio proposto, a più riprese, al cospetto delle risultanze investigative svolte dal gruppo di Formia della Guardia di Finanza, lo stesso che con la conclusione delle indagini preliminari lo scorso 16 novembre aveva peraltro, eseguito un provvedimento di sequestro preventivo di conti correnti e disponibilità finanziarie che, per un valore complessivo di 230mila euro, aveva interessato alcuni degli indagati di questa delicata inchiesta giudiziaria. Lo stanziamento complessivo della Regione Lazio per i lavori da effettuare sull’immobile dell’ex colonia Di Donato fu di due milioni e mezzo di euro, di cui un primo lotto di lavori oggetto della gara di appalto vinta dalla Sacen fu pari ad € 976.826,69.
Questi, in breve, i fatti. La stazione appaltante elaborò il progetto del primo lotto dei lavori (per € 976.826.,69), approvato l’11 luglio 2011, prevedendo interventi di adeguamento funzionale e finitura di parte degli ambienti al piano terra (solo il livello a quota 0,00/via degli Olivetani). Dopo l’esito alla gara di appalto, l’impresa aggiudicataria Sacen srl avviò i lavori ed eseguì interventi di rimozioni e demolizioni per asportare vecchi pavimenti, vecchi intonaci, infissi, porte, etc., e quindi realizzò lavorazioni chiaramente propedeutiche e in linea con le previsioni del progetto. In questa fase il direttore dei lavori ed il responsabile unico del procedimento nominati dall’Ipab, iniziarono ad ravvisare indizi che li portarono ad ipotizzare un cattivo stato di conservazione delle strutture orizzontali (le volte). Alla luce dei primi approfondimenti da loro disposti, il direttore dei lavori e il responsabile del procedimento ritennero doversi procedere prioritariamente con interventi sulle volte, per garantire una condizione di sicurezza del cantiere e dell’immobile, per poi proseguire con le altre lavorazioni; viene quindi redatta (sempre dal direttore dei lavori e dal Rup) la prima perizia di variante senza aumento di spesa con variazione delle categorie di lavoro.
Proseguendo nelle lavorazioni, emerse una situazione ben più complessa di quanto inizialmente ipotizzato, sia con riferimento alle volte sia con riferimento a tratti di muratura realizzati con materiali incoerenti. Gli interventi che il direttore dei lavori ed il Rup ritennero di dovere disporre per ovviare a queste “problematiche impreviste emerse” furono tali da richiedere maggiori risorse finanziarie per cui venne da loro redatta la seconda perizia di variante, con aumento di spesa (ma comunque all’interno del quadro economico del progetto), e quindi in base alle disposizioni impartite alla luce di tale variante la Sacen procedette alla completa messa in sicurezza del piano interessato dall’appalto. Si concluse così l’intervento appaltato all’impresa Sacen e, sulla base dei lavori eseguiti al piano terra, il direttore dei lavori ed il Rup maturarono perplessità in merito alla reale configurazione strutturale dell’edificio al livello sottostante. Molti indizi, infatti, fecero supporre che sotto alcune strutture voltate ci potessero essere ulteriori livelli di edificazione risalenti ad epoche precedenti e sino a quel momento sconosciuti. Il responsabile del procedimento e la direzione dei lavori ritennero, quindi, di dover approfondire il livello di conoscenza dell’intero fabbricato, anche perché nel 2008 erano state già impiegate risorse da parte del Comune di Formia per intervenire sulle strutture dei piani soprastanti, confidando, evidentemente, nella bontà della “base” del fabbricato. Da qui scaturì l’affidamento all’impresa Sacen di un contratto aggiuntivo per procedere a “indagini e verifiche”; tali indagini si rivelarono in sostanza degli scavi archeologici, portando alla luce uno o più livelli sottostanti al fabbricato oltre ad importanti reperti, come risulta negli atti di indagine della Guardia di Finanza.
L’aspetto economico-finanziario. In acconto sullo stanziamento di 2,5 milioni di euro, la Regione Lazio aveva trasferito all’Ipab la somma di € 450mila in data 20.12.2012 e la somma di € 500 mila in data 31.01.2014 e, cioè, complessivamente l’importo di € 950mila (dopo questa somma la Regione non erogò più nemmeno un euro). Questo contributo, in effetti, venne erogato dalla Regione Lazio all’Ipab indipendentemente dall’effettuazione e contabilizzazione dei lavori e solo in base al disposto dell’art. 6 della legge Regionale 26.06.1980 n. 88 che disciplina appunto i finanziamenti della Regione agli enti territoriali. In data 4 marzo 2013 e 27 maggio 2013 alla Sacen., dopo che la stessa aveva ultimato i lavori affidatile a seguito di gara con contratto del 23 aprile 2012, vennero rilasciati due “certificati di regolare esecuzione e la relazione sul conto finale” (di cui al DPR 207/2010) redatti dai tecnici della stazione appaltante Ipab della Santissima Annunziata di Gaeta quali atti conclusivi del procedimento (pagg. da 776 a 785 del fascicolo del PM) e dai quali emerse che la somma complessiva dovuta alla SACEN per i lavori eseguiti è pari ad € 632.320,70 (oltre iva). Fino a quel momento, nonostante l’Ipab avesse incassato dalla Regione ben 950mila euro, la Sacen ottenne in pagamento solo tre acconti per un importo complessivo di € 181.818,18 oltre IVA (assommanti quindi ad € 200.000,00) come anche riscontrato dal consulente del PM ing. De Falco alla pag. 48 del suo elaborato. Infatti, la stazione appaltante, con deliberazione numero 12 del 19 marzo 2014 del proprio Consiglio di amministrazione (pag. 855 e seguenti del fascicolo del Pm), approvò i risultati dei due certificati succitati determinando così un credito a saldo dell’impresa, detratti gli acconti ricevuti, di € 450.502,52 (632.320,70 – 181.818,18) oltre iva come per legge.
La Sacen, poi, per questi lavori, successivamente alla ricezione di questi acconti (per 181.818,18), non ricevette alcun ulteriore pagamento. A fronte di un’ulteriore richiesta dell’Ipab alla Regione (nota di sollecito prot. 533 del 28.11.2014, cfr. pagg. 1124 e 1125 del fascicolo del Pm) di erogare ulteriori somme del finanziamento, la Regione rispose specificando che, sino a quel momento, aveva già trasferito all’Ipab la complessiva somma di 950mila euro (cfr. nota Regione Lazio prot. 719393 del 29.12.2014 pag. 1122 fasc. PM). In pratica, a valere sul finanziamento previsto, la Regione Lazio aveva già erogato all’IPAB SS. Annunziata una somma che, complessivamente, superava quanto rendicontato a fine lavori dall’Ipab stessa. Tuttavia le casse dell’Ipab risultarono vuote in quanto, probabilmente, quelle somme erano state utilizzate per altri scopi istituzionali, ritenuti prioritari dall’ente. La Sacen, allo stato, quindi, non potette essere pagata nonostante avesse ultimato i lavori appaltati e l’Ipab avesse riconosciuto che per questi lavori doveva ancora a saldo la somma di € 450.502,52, oltre iva come per legge. Dopo circa due anni dall’ultimazione dei lavori, la Sacen non incassò nemmeno un euro rispetto al saldo dovutole e, per questa ragione, chiese ed ottenne il decreto ingiuntivo N. 2128/2015 del 10.4.2015, che venne notificato all’Ipab della Santissima Annunziata il 26 maggio 2015 (pagg. da 35 a 42 del fascicolo del Pm).
“Questo evento e questa data costituiscono un vero e proprio spartiacque che divide una prima fase, caratterizzata – sostiene uno dei legali difensori, l’avvocato Andrea Di Croce – dalla ricerca di una soluzione possibile per provvedere al pagamento di quanto dovuto alla Sacen per i lavori effettuati, da una seconda fase, dove invece prevale un atteggiamento accusatorio a tutto campo volto a contestare le ragioni del credito della Sacen stessa. Da questo momento in poi, infatti, (e non prima) la Sacen, titolare di un credito accertato e dichiarato in atto pubblico redatto da pubblici ufficiali e fino allora incontestato, cominciò a diventare destinataria di sospetti che riguardavano sia la legittimità della sua azione nei confronti della stazione appaltante sia la qualità e quantità dei lavori eseguiti e, conseguentemente, la genuinità dei documenti giustificanti il credito. In pratica, fino all’estate del 2015 e quindi dopo più di due anni dall’ultimazione dei lavori, non vi furono contestazioni circa la legittimità degli atti riconducibili all’appalto della Sacen e tantomeno si registravano critiche sulla qualità e la quantità dei lavori eseguiti”. Il resto è cronaca giudiziaria. Per la Procura della Repubblica di Cassino gli otto imputati avrebbero commesso i reati di tentata truffa, falso e frode in pubbliche forniture attraverso una condotta che avrebbe comportato l’adozione di varianti illegittime volte a determinare una lievitazione del corrispettivo da corrispondere alla Sacen a fronte di lavori difformi in termini di qualità e quantità. La difesa ha prodotto consulenze finalizzate a controdedurre alle valutazioni del Sostituto Procuratore Alfredo Mattei dalle quali emergerebbe sia la assoluta legittimità delle varianti che la conformità (per qualità e per quantità) dei lavori eseguiti alle prescrizioni dell’appalto.
“In questa controversia appare singolare, al di là degli eventuali accertamenti sui lavori eseguiti, che si trovi imputato – conclude l’avvocato Di Croce – chi ha eseguito lavori e vanta ancora un rilevante credito pari circa al 70 % di quanto eseguito mentre, invece, non ci si chieda dove siano finiti ben 750mila euro dei 950mila euro erogati dalla Regione all’Ipab, che oggi ha anche preannunciato di volersi costituire parte civile. Non si comprende, poi, perchè l’immobile si trovi ancora sotto sequestro con i rischi connessi all’incuria e, soprattutto, ci si chiede che fine abbia fatto lo stanziamento regionale di 2 milioni e mezzo di euro ai quali erano poi stati aggiubti da quanto appurato dalla Guardia di Finanza ulteriori 4,5 milioni da versare all’Ipab per effettuare il completo recupero dell’immobile alla collettività”.
Saverio Forte