FORMIA – I gruppi adulti dell’Azione Cattolica delle parrocchie di Formia non potevano non scegliere uno dei più profondi e preparati giornalisti italiani per inaugurare il percorso culturale “GenerAzioni” che, attraverso quattro appuntamento, si snoderà sino al prossimo 28 aprile. Ad inaugurarlo è toccato al direttore del settimanale “L’Espresso”, Marco Damilano, che ha fatto registrare un prevedibile tutto esaurito presso il Teatro Remigio Paone di Forma in un incontro-confronto che, dal titolo ‘Discernere per generare’, è stata l’occasione per presentare anche il suo ultimo libro “Un atomo di verità. Il caso Moro e la fine della politica in Italia”. Il best seller edito da Feltrinelli permette di effettuare un viaggio nella memoria e racconta un pezzo importante di storia italiana a 40 anni dal sequestro e dalla morte del presidente della Dc e degli uomini della sua scorta. Damilano lo fa da quello istante, alle 9 del mattino del 16 marzo 1978 a quel tragico 9 maggio, fino all’ultima stagione della politica e alla fuga di Craxi. La vita di Aldo Moro riporta alle vicende di un “paese dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili”, e di un uomo capace di una visione della politica di un paese che oggi appare sbiadita.
Con forza e delicatezza, Damilano ricostruisce, poi, la figura pubblica e privata di Aldo Moro in un racconto che intreccia vibrazioni intime ad analisi storiche lucide. Per ricostruire la figura di Moro, l’autore, il cui modello narrativo di quello che ha definito “viaggio fisico e temporale” è stato “Anatomia di un istante”, il romanzo di Javier Cercas sul tentativo di colpo di Stato spagnolo del 1981, ha scavato fra le carte negli archivi, ha riletto gli appunti e le lettere di Aldo Moro, ha ascoltato i ricordi di chi lo ha conosciuto. È un libro umano e terribile, in cui si muovono figure e personaggi, buoni e cattivi, potenti e innocenti; in cui riecheggiano voci forti e silenzi e ferite mai rimarginate, alla ricerca di una verità che sembra sfuggente.
Per Damilano poi è stato un ritorno a casa, tra un gruppo di amici, quelli dell’Azione Cattolica nel cui mensile “Segno nel mondo” ha iniziato la sua brillante e carriera attività giornalistica. Per Marco Damilano in quell’angolo “tra via Stresa e via Mario Fani è finita in Italia la politica come leva privilegiata del cambiamento. Forse per questo ce lo ricordiamo tutti – ha detto nel corso del suo applaudito intervento al Teatro Remigio Paone – Tutti gli italiani sopra i cinquant’anni sanno dire dove si trovavano nel momento in cui seppero del rapimento di Moro. Molti, come me, erano a scuola e i genitori vennero a prenderli in classe, anche molto lontano da Roma. Dopo, è finita la Dc, è morto Berlinguer, è finito Craxi. In tutto l’Occidente si è compiuta questa trasformazione, la fine della politica dei grandi partiti, ma in Italia dove la democrazia è più giovane e più fragile, come sapeva meglio di tutti Aldo Moro, i processi sono stati più rapidi. La politica è diventata sempre di più apparenza, retorica, spettacolo, ha smesso di essere un orizzonte di senso collettivo in cui identificarsi, non ha coltivato più la speranza, ma la paura dei cittadini e la loro rabbia, generando frustrazione negli elettori, perché promette quello che non riesce più a dare. Penso che tutto sia cominciato con la morte di Moro”.
Nel suo libro il direttore de L’”Espresso” analizza la perdite subite dall’Italia, come sistema paese, con la morte di Moro, ma va oltre dopo quel tragico 1978: Dopo Moro, c’è stata la caduta del muro di Berlino, nel 1989: “Il presidente della Dc voleva superare la logica di Yalta con dieci anni di anticipo, la spartizione del mondo tra americani e sovietici, per questo forse il suo rapimento ha attratto tante ipotesi dietrologiche contrapposte. Poi c’è stata la stagione di Mani Pulite e si è compiuta la profezia di Moro in una lettera dalla prigionia delle Br: il mio sangue ricadrà su di voi. I partiti storici erano finiti. Infine, è terminata anche la cosiddetta Seconda Repubblica, con il voto del 4 marzo 2018. Con Moro l’Italia – ha sentenziato Damilano – ha perso la possibilità di rinnovarsi da sola, senza interventi esterni alla politica, senza il mito delle riforme costituzionali. Io ho raccontato in modo letterario la sua assenza e la sua mancanza tramite altre figure scomparse: Sciascia, Pasolini, Craxi…”
In effetti il 1978 è stato un anno di mezzo il ’68 e l’89, tra la rivoluzione dei giovani in Occidente, la contestazione (e la primavera di Praga schiacciata dai carri armati sovietici) e la caduta del muro di Berlino. Tra la tv in bianco e nero e la tv a colori: è nel ’78 che Berlusconi apre Tele Milano. È stato l’anno che fa da spartiacque della generazione degli attuali quarantenni-cinquantenni che crescerà tra il prima e il dopo: il tutto della politica – gli ideali e il sangue – e il suo nulla. La trasformazione della politica, da orizzonte di senso a narcisismo e nichilismo. Il rapimento e l’omicidio di Moro è l’evento fondamentale. “Moro aveva indicato una strada difficile, tortuosa, rischiosa per uscire dalla crisi della democrazia che avvertiva come un dramma. E aveva ragione” ha aggiunto Damilano. Il titolo del libro, in verità, è stato mutuato da un passaggio di una lettera che lo statista democristiano al deputato calabrese della Dc Riccardo Misisi ‘Datemi da una parte milioni di voti e toglietemi dall’altra parte un atomo di verità, ed io sarò comunque perdente». La verità cui si riferiva Moro è più ampia di quella giudiziaria, è un’altra. È la capacità dei partiti e della politica di offrire al Paese una visione, un progetto, un percorso che passa per la verità delle cose. Questa verità per la politica dopo Moro è sempre mancata. È successo che partiti nuovi e leader giovani prendessero milioni di voti, ma non avendo neppure un atomo di verità, come diceva Moro, si sono in ogni caso condannati alla sconfitta.
Naturalmente il libro ha fatto riferimento ai tanti “buchi” e misteri che ancora vanno svelati a distanza di 40 anni da quei tragici fatti. La versione brigatista, codificata nel memoriale di Valerio Morucci alla fine degli anni Ottanta, è stata messa totalmente in discussione. Tra le novità contenute nella relazione finale della commissione parlamentare di inchiesta presieduta da Giuseppe Fioroni c’è l’individuazione di un condominio in via Massimi 91, a pochi metri da via Mario Fani luogo della strage. Un palazzo appartenente alla banca vaticana Ior, in cui vivevano alti prelati, spie della Cia, informatori libici, esponenti extraparlamentari. “Il complesso, anche alla luce della posizione, potrebbe essere stato utilizzato per spostare Aldo Moro dalle auto utilizzate in via Fani a quelle con cui fu successivamente trasferito oppure potrebbe aver addirittura svolto la funzione di prigione dello statista” è quanto scrive nella sua ultima relazione la commissione che ipotizza che lì potrebbe essere stato portato Moro dopo la strage e che appena pochi mesi dopo lì trovò rifugio il latitante Prospero Gallinari. La versione delle Br è stata interamente smentita. Sarà riaperta l’inchiesta? “Non so, di certo non c’è ancora verità e giustizia per Moro e per Leonardi, Ricci, Iozzino, Rivera, Zizzi, per le loro famiglie, per un Paese disposto a rimuovere una ferita che invece ancora continua a sanguinare.”
Ma è ancora profonda la memoria in Italia dello statista dopo che gli sono state intitolate strade, piazze, scuole, biblioteche? Damilano non mostra ottimismo: “La memoria continua a essere assente. Sono stato a Maglie, la città natale di Aldo Moro in provincia di Lecce, e mi ha colpito il monumento davanti alla casa in cui visse i primi anni, con la copia dell’Unità sottobraccio, esattamente come lo raffiguravano i suoi nemici a destra: un catto-comunista, un comunista mascherato. Un altro esempio di scarsa memoria era stata finora la lapide di via Mario Fani, nel punto della strage. Un luogo, aveva scritto Giuseppe D’Avanzo, senza storia. Forse per questo, alla vigilia del quarantesimo anniversario della strage, sono tornati in quel punto i tecnici e gli operai, per inaugurare un monumento che nelle intenzioni vorrebbe tramandare alle nuove generazioni, nel nuovo secolo, cosa successe in quel luogo, perché caddero e morirono Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, quella mattina che fu rapito Aldo Moro. Ci sono voluti quarant’anni perché lo Stato si decidesse a ricordarli come meritavano. A questa dimenticanza e rimozione sfuggono per fortuna associazioni, movimenti, centri di documentazione locale. Io credo che Aldo Moro vada liberato dal “caso Moro” e dai suoi misteri, in cui è stato rinchiuso per la seconda volta in questi quarant’anni. Aldo Moro va restituito alla sua dignità di persona e di politico, che ha molto da dire sull’oggi.” Ma l’eredità che ha lasciato Moro all’Italia, al suo paese, è un’altra e sicuramente più pesante. Damilano ha ricordato l’ultimo discorso di Moro da persona libera, il 28 febbraio 1978. Doveva “convincere” l’intero gruppo parlamentare della Dc ad accettare una maggioranza condivisa per la prima volta con il Pci, non sapeva neppure se intervenire, alla fine accettò di parlare e fece il discorso più importante della sua vita. Partì non dalle dinamiche di Palazzo, ma da quella che chiamava «l’emergenza reale che è nella nostra società», la realtà.
«Io credo alla emergenza, io temo l’emergenza. La temo perché so che c’è sul terreno economico sociale. Credo che tutti dovremmo essere preoccupati di certe possibili forme di impazienza e di rabbia, che potrebbero scatenarsi nel contesto sociale. C’è la crisi dell’ordine democratico, crisi latente, con alcune punte acute. Il dato serpeggiante del rifiuto dell’autorità, il rifiuto del vincolo, la deformazione della libertà che non sa accettare né vincoli né solidarietà. Immaginate cosa accadrebbe in Italia, in questo momento storico, se fosse condotta fino in fondo la logica della opposizione, da chiunque essa fosse condotta, da noi o da altri, se questo Paese dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili, fosse messo ogni giorno alla prova di una opposizione condotta fino in fondo…». E aveva concluso: «Se non avessimo saputo cambiare la nostra posizione quando era venuto il momento di farlo, noi non avremmo tenuto, malgrado tutto, per più di trent’anni la gestione della vita del Paese. È la nostra flessibilità, più che il nostro potere, che ha salvato fin qui la democrazia italiana…”.
“Credo – ha concluso Damilano – che questa sia l’eredità principale di Moro, e che la più tradita. Il metodo del dialogo e dell’ascolto. L’intelligenza che è il contrario delle forzature, i bracci di ferro, gli scontri, il linguaggio bellico di cui abusa la politica di oggi, nel “Paese dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili” che resta una delle definizioni più belle del nostro sistema democratico. È un’eredità fuori moda in questa stagione di politica semplificata. Eppure Moro è ancora qui, con le sue parole, le sue lettere, i suoi pensieri, il suo essere ‘punto irriducibile di contestazione e di alternativa’, come aveva scritto in una lettera. Io ho provato a raccontarlo e a raccontare quanto ci sia di quell’eredità di finito e di quanto ci sia di ancora vivo, in tutti noi. Un atomo di verità.”
INTERVISTA Marco Damilano, direttore de “L’Espresso”
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I prossimi appuntamenti del percorso culturale “GenerAzioni”. Il secondo si terrà domenica 2 dicembre alle ore 17 con la visione del musical “Aggiungi un posto a tavola” presso il Teatro Brancaccio di Roma. ‘Accompagnare la vita per generare’ è il terzo appuntamento che si terrà sabato 9 febbraio 2019 alle ore 18.30 al villaggio Don Bosco di Formia con la visione e confronto sul film “Tutto quello che vuoi” di Francesco Bruni . ‘Precedere nell’amore per generare’ è il quarto appuntamento che si terrà, invece, domenica 31 marzo 2019 al mattino con la visita guidata della Reggia e Parco di Caserta. Nel pomeriggio l’incontro con i percorsi di impegno culturale e sociale generati dal martirio di don Peppe Diana, a 25 anni dalla sua uccisione. ‘Amare la città per generare’ sarà, infine, il quarto ed ultimo appuntamento in programma domenica 28 aprile 2019 con l’evento “Tra le due torri”, visita guidata di Formia, in collaborazione con Sinus Formianus.
Saverio Forte
PHOTOGALLERY (a cura di Pietro Zangrillo)
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