GAETA – E’ ricco di significati – come sempre – il messaggio Natalizio che l’Arcivescovo di Gaeta, Monsignor Luigi Vari, ha inviato alla Chiesa del Golfo in occasione della festa più importante che chi crede nel mistero che si è umanizzato, si è fatto carne. Il messaggio augurale di Monsignor Vari ha un titolo semplice, “Natale è così: se non lo capisci, lo perdi”, ed è caratterizzato da alcuni aspetti personali e autobiografici.
“Ci aggiriamo alla ricerca dell’aria di Natale e facciamo sempre più fatica a trovarla. Dobbiamo tornare con la memoria alla nostra infanzia – esordisce Monsignor Vari – il periodo dove ognuno ricorda le sensazioni che, nei giorni del Natale, erano come amplificate. Penso che quando scriveranno la storia dei nostri giorni scriveranno che noi siamo stati la generazione che è stata capace di dilapidare patrimoni come nessun altro prima. Siamo stati e siamo così scialacquatori che ci siamo dovuti inventare il concetto di protezione dei beni immateriali, perché la nostra avidità, la voglia di far soldi non si fermava più. Forse siamo la generazione che è riuscita a spegnere il colore, l’odore e il sapore del Natale: i bambini di oggi, rimosso ormai Gesù Bambino e troppo svegli per pensare ancora che ci sia un Babbo Natale, saranno senza Natale. Si è conosciuta anche una tregua di Natale, dichiarata in trincea da soldati di fronti opposti che decisero, almeno per quella notte, di ricordarsi di essere uomini: ma ci si rende conto che a perdersi non è una data nel calendario, ma un altro frammento di umanità.”
Insomma – come tende a sottolineare il presule della chiesa del sud-pontino – Natale è così: se non lo capisci, lo perdi: “Devi capire la luce della lanterna che illumina la grotta di Betlemme, devi amare quell’esplosione di umanità che riempie la grotta, dove ci sono una mamma, un papà e un bambino e anche l’umanità di chi cerca di rendere quella grotta abitabile, prestando un asino e un bue, portando qualche coperta e qualcosa da mangiare. Quando ci insegnavano a fare il presepe – ricorda l’Arcivescovo di Gaeta – andavamo a scuola di umanità, attenti a rendere bella quella grotta, inventandoci a mettere forme di formaggio e salsicce appese e fuochi finti, imparavamo che la vita per essere bella ha bisogno di poco: ha bisogno di umanità. Anche quando ci mettevamo a fare il cielo sembrava difficile costruirlo perché è troppo infinito e bello per ridurlo a quella carta blu con le stelle disegnate. Che bello, però, mettere gli angeli sulla capanna e la stella cometa, allora il cielo diventava più familiare. Imparavamo il Natale, lo capivamo, era la festa del cielo che potevi abbracciare in un bambino e vedere nei suoi occhi. Imparavamo di far parte della famiglia di Dio. Natale è così, se non lo capisci lo perdi. Poi mettevamo i personaggi intorno, li sceglievamo in modo che rappresentassero tutti i mestieri e ognuno veniva da qualche angolo del presepe che somigliava alla vita di tutti i giorni. Tutti i personaggi contavano perché facevano parte della scena. Prendeva così importanza l’arrotino, la donna che lavorava a maglia, il portatore d’acqua, il pastore con le sue pecore. Imparavamo così che un uomo è importante non per quello che fa, ma per come sa stare nella vita e più lo vedevamo vicino alla grotta più ci sembrava importante; molto più importante di Erode che era da qualche parte lontano nei suoi palazzi e che nessuno di noi si sognava di mettere nel presepe – aggiunge nel suo messaggio augurale – Quando era il momento di mettere i Magi, lo facevamo con un po’ di nostalgia perché significava che le vacanze stavano finendo e quelle cose che ci avevano resi felici durante le feste, come lo stare insieme con tante persone, non potevano durare per sempre. Allora arrivavano i doni che non solo consolavano, ma funzionavano da promemoria a ricordare che quello che faceva preziosi quei giorni non si perdeva, l’amore della nostra famiglia, la gioia degli amici, la presenza di Dio. E mettendo i Magi nel presepe imparavamo che quel bambino era più di un re, che Dio è più di un re e che nessun re della terra vale che per lui si tradisca Dio.
Una lezione di straordinaria dignità che cambia la vita di chi la impara” Ma quale tipo di augurio Monsignor Luigi Vari, “don Gigi”, vuole inviare al suo gregge in cammino con lui dal 9 luglio 2016? L’Arcivescovo di Gaeta nella parte conclusiva della sua lettera scrive indossando le vesti da professore di seminario:”Il mio augurio è questo, di rimetterci a capire il Natale, di meravigliarci del dono straordinario del mistero che racconta; di raccontarlo con la vita, stimando le vite degli altri, rinunciando a farci giudici, accogliendo l’altro per come è, aspirando a stare vicini a quella grotta consapevoli che il posto lo decide l’umanità di cui siamo capaci. Che il Natale non ci sorprenda nel palazzo di Erode a sentirci forti della nostra superbia e della nostra arroganza, del nostro far parte dei giri che contano, del non guardare in faccia nessuno, della nostra avidità, della mancanza di umanità e di dignità che ci fa pensare di essere superiori a quelli che stanno attorno alla grotta. Unica maniera per salvare il Natale è capirlo: per proteggerlo lo dobbiamo capire”.
Saverio Forte