GAETA – Questi retini di plastica, di diverso colore, da anni, dopo ogni mareggiata, erano diventati l’incubo di tanti pescatori del sud pontino che li hanno recuperato nelle proprie reti. Dopo un anno esatto di indagini la Procura di Cassino ha individuato le persone che hanno abbandonato e smaltito illecitamente. Sono 18, residenti a Gaeta, Bacoli, Napoli e Pozzuoli, per lo più concessionari e capibarca dipendenti degli impianti di allevamento dei mitili su un’area di 750mila metri quadrati nel tratto di mare tra Gaeta e Formia. Ad inchiodarli è stata la meticolosa inchiesta della Capitaneria di Porto che, raccogliendo le segnalazioni dei pescatori e utilizzando le informazioni della stampa, hanno motivato il sostituto procuratore Emanuele De Franco a promuovere e ora a chiudere le indagini preliminari con le gravi ipotesi di reato di inquinamento ambientale, abbandono e smaltimento irregolare dei rifiuti.
Le immersioni del secondo nucleo subacqueo della Guardia Costiera di Napoli hanno certificato come i fondali del Golfo fossero diventati una discarica, un cimitero di questi prodotti di plastica che venivano gettiti in acqua dopo la raccolta delle cozze . In questo modo i sei concessionari evitavano di pagare gli alti costi di gestione di smaltimento. Da qui il nome dell’operazione “Retini alla deriva” illustrata nel corso di una conferenza stampa presso la Capitaneria di Porto di Gaeta dal Procuratore capo di Cassino Luciano D’Emmanuele, lo stesso che, unitamente al magistrato titolare del fascicolo, il sostituto procuratore Emanuele De Franco, ha voluto effettuare, in conclusione, una perquisizione nel tratto di mare interessato da anni da un forte impatto inquinante.
I 18 indagati sono accusati di aver provocato una significativa compromissione di un ampio specchio acqueo del Golfo di Gaeta che la Regione, definendo nel 2009 area sensibile, aveva inibito a questi impianti ittici. Ma la delibera non è stata mai attuata. Di questo aspetto, politicamente scomodo, hanno parlato poco sia D’Emmanuele che il comandante Andrea Vaiardi. Hanno escluso che l’ente che ha rilasciato le concessioni, la Regione Lazio, possa revocare ora i titoli: “Spetta agli organi amministrativi assumere eventuali provvedimenti rispetto a quanto prevedono le autorizzazioni rilasciate. La bonifica dei fondali – ha detto D’Emmanuele nell’intervista video – di certo non la può decidere o imporre la Procura. Il collega De Franco ora concluderà il procedimento d’inchiesta e la Regione ma anche i comuni del Sud-pontino in un eventuale processo potrebbero costituirsi parte civile”.
INTERVISTA Luciano D’Emmanuele, Procuratore Capo di Cassino
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Intanto lo stesso sostituto Procuratore De Franco ha rivelato che alcuni dei 18 indagati hanno chiesto ed ottenuto – come prevede l’articolo 415 bis del Codice di procedura penale – di essere interrogati. L’hanno fatto in questi giorni attraverso i legali difensori, gli avvocati Vincenzo Macari e Alfredo Zaza D’Aulisio. I vertici della Capitaneria e della stessa Procura della città martire hanno confermato come il rinvenimento di questi retini di plastica, di colore diverso da società a società concessionaria, non fosse più occasionale ma l’attività d’indagine ha appurato come il loro rinvenimento fosse provocato da un loro precedente ed illecito smaltimento dopo aver contribuito alla semina, crescita e raccolta dei mitili. Un fatto è certo: Nessuno dei concessionari dell’area era in possesso di alcuna documentazione che attestasse il corretto smaltimento dei retini.
Gli elementi investigativi acquisiti, incrociati con la tipologia di rifiuto e le attività produttive operanti in questo tratto di mare oggetto di concessione, permettevano agli uomini del Comandante Vaiardi di poter ricostruire la dinamica del fenomeno e consentire di ricondurre il materiale plastico rinvenuto agli impianti di mitilicoltura presenti sul territorio e alla successiva individuazione dei presunti responsabili oltre a permettere di riscontrare gli effetti delle azioni illecite perpetrate a danno dell’ambiente ed in particolare dell’ecosistema marino.
Gli accertamenti, effettuati congiuntamente con i tecnici dell’Arpa Lazio, hanno evidenziato come il materiale plastico, rinvenuto sul fondale malgrado particolarmente liso, a causa della lunga permanenza in acqua, documentava un importante stato di alterazione dell’ecosistema marino e l’estensione del fenomeno sull’intera area destinata alla mitilicoltura nella quale il materiale plastico è risultato essere ormai ancorato al fondo sabbioso. Su un punto la Capitaneria e la Procura sono state chiare: il materiale plastico utilizzato dagli impianti non ha una specifica pericolosità ma il potenziale pericolo deriva proprio dall’abbandono sul fondale per poi finire sulle spiagge e nelle reti dei pescatori. La pericolosità veniva evidenziata dall’Arpa Lazio che ha provveduto a caratterizzarne i campioni raccolti specificando che, pur potendosi in se considerare materiale/rifiuto non pericoloso, qualora abbandonato nell’ambiente, può essere ritenuto scientificamente dannoso per l’ecosistema ed in particolar modo per l’ambiente marino. In generale il potenziale danno, per l’ambiente e l’uomo, discende dal deterioramento della plastica che costituisce i retini che, inevitabilmente, permanendo in mare, è sottoposta ad un fenomeno capace di degradarla in “litter” e “microlitter”, ovvero le purtroppo tristemente note “microplastiche”.
INTERVISTA Andrea Vaiardi, Comandante Capitaneria di Porto di Gaeta
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VIDEO Operazione retini in mare
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