CASTELFORTE/CORENO AUSONIO – Cala definitivamente il sipario su uno dei fatti di cronaca più cruenti verificatisi sul territorio del Basso Lazio negli ultimi anni. La Corte di Cassazione, al termine di una breve camera di consiglio, ha confermato la sentenza a trenta anni di reclusione per Giuseppe Di Bello, l’agricoltore di 39 anni di Coreno Ausonio ritenuto colpevole di aver ucciso la notte del 7 novembre 2014 i fratelli Pino e Amilcare Mattei.
E c’erano le vedove e i sette figli dei due apprezzati e stimati imprenditori di Castelforte (costituitisi parte civile attraverso l’avvocato Gianrico Ranaldi) al momento della lettura della sentenza di condanna dei giudici della suprema Corte che, confermando la sentenza d’appello del 27 febbraio 2018, hanno respinto la richiesta di scarcerazione, motivata da ragioni di salute, avanzata dal legale difensore di Di Bello, l’avvocato Giuseppe Di Mascio.
Il duplice delitto avvenne nella cava di marmo che sorge nelle vicinanze dell’importante azienda di famiglia dei fratelli Mattei a Coreno Ausonio e la sentenza della Cassazione pone fine, almeno sotto il profilo processuale, ad una triste e tragica vicenda che aveva avuto il suo pro-logo davanti la Corte d’Assise del Tribunale di Cassino che il 14 novembre 2016 condannò addirittura all’ergastolo Di Bello. La sua difesa sia nel processo di secondo grado che in quello di Cassazione ha provocato a chiedere un nuovo dibattimento per ricostruire la diversa scena del crimine ma gli “ermellini” hanno sentenziato con la conferma a trent’anni della condanna di un anno fa della Corte d’assise d’appello di Roma.
Secondo la ricostruzione dei Carabinieri i fratelli Mattei, dopo essere stati fatti oggetto di nume-rosi furti di gasolio, avevano posizionato nella loro cava un ‘fototrap’, soprattutto nell’area dove erano stati parcheggiati alcuni escavatori. Poco dopo mezzanotte Amilcare fu svegliato da un messaggio sul telefonino che segnalava l’attivazione del dispositivo di controllo. Contattò il fratello Giuseppe con il quale si recò nell’azienda di famiglia. I due furono trovati all’alba privi di vita, colpiti da arma da fuoco e, accanto a loro, c’era anche il corpo ferito di Di Bello. Proprio da 7 fotogrammi isolati dal fototrap fu individuata una persona aggirarsi sul posto; una perizia concluse con la compatibilità di quella sagoma con Di Bello. L’uomo, però, sostenne che quella notte si era recato a dare da bere alle proprie mucche, quando, sentendo rumori provenire dalla cava dei Mattei, vide ombre e poi fu colpito a terra.
Saverio Forte
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