ROMA – Sta per calare il sipario sulla vicenda del rapimento di Antonio Verrecchia. Il direttore di macchine di Gaeta trascorse 10 mesi e mezzo a bordo della Savina Caylyn, subendo continue pressioni psicologiche e torture fisiche in balìa dei pirati somali. Con lui l’intero equipaggio di cui facevano parte il comandante Lubrano Lavadera e Crescenzo Guardascione di Procida, Gianmaria Cesaro di Piano di Sorrento ed Eugenio Bon di Trieste, tutti tornati a casa sani e salvi, nonchè altri 17 marinai di cittadinanza indiana. Ma il prossimo 23 marzo il gip del tribunale di Roma dovrà decidere se accogliere o meno la richiesta di archiviazione dell’inchiesta contro ignoti per sequestro di persona a scopo terroristico ed atti di depredazione in danno di nave straniera. Reati pesantissimi per il codice penale italiano e quello della navigazione: il primo prevede fino a 30 anni, il secondo fino a 10. Lasciando così per sempre aperti interrogativi che pesano come macigni. Cosa avvenne davvero in quel braccio dell’oceano che lambisce le coste somale? Fu pagato davvero un riscatto? Ci furono ritardi nella trattativa e, se si, perchè? Verrecchia non è più tornato a navigare e nemmeno potrebbe perchè non più iscritto nelle liste della “gente di mare”. Ha ricevuto aiuto per i primi 36 mesi ma ora sarebbe caduto in uno stato di prostrazione. Elementi avvalorati da perizie a disposizione del tribunale. Che, a ben vedere, potrebbe anche riaprire il caso considerando l’attuale stato di salute del marinaio come infortunio sul lavoro, occorso proprio durante il periodo di prigionia.
Dieci mesi e mezzo di Savina Caylyn
Otto febbraio 2011. Un commando di cinque pirati somali sequestra la petroliera Savina Caylyn (105mila tonnellate di stazza) della compagnia napoletana “Fratelli D’Amato”. A bordo il gaetano Antonio Verrecchia, esperto direttore di macchina con 19 anni di navigazione alle spalle. Insieme a al comandante Lubrano Lavadera e Crescenzo Guardascione di Procida, Gianmaria Cesaro di Piano di Sorrento ed Eugenio Bon di Trieste e ad altri 17 cittadini indiani, Verrecchia fa rotta verso Singapore, quando incontra il fuoco di sbarramento dei mitra e di quattro razzi “Rpg”. L’atto criminoso avviene in pieno Oceano Indiano, 880 miglia dalla Somalia e a 500 dall’India. La marina militare italiana risponde inviando sul posto la fregata “Zefiro”. Nove febbraio. Inutili tentativi di contatto dell’Eunavfor, Forza navale dell’Unione europea. Prime dichiarazioni del sindaco Raimondi e del presidente dell’associazione marittima Amare Nino di Maggio (scomparso nei giorni scorsi). Undici febbraio. Primi contatti tra il comandante Giuseppe Lavadera e le autorità militari. Arrivano dai satelliti italiani del programma Cosmo SkyMed le prime immagini della petroliera. La “Savina”, localizzzata due volte, si è spostata di 182 miglia nautiche verso la costa della Somalia, alla velocità di circa 14 nodi. Dodici febbraio. Si comincia a parlare di un possibile blitz da parte dei fanti del reggimento “San Marco”. Due marzo. La fregata “Espero” sostituisce la fregata “Zefiro”. Sedici marzo. L’onorevole Luisa Bossa sollecita il ministro degli affari esteri ed il ministro della difesa con un’interrogazione parlamentare. Dodici aprile. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito rispondendo durante il ‘Question Time’ alle perplessità del deputato Luigi Musso di fli. Sette maggio. Prima intervista della signora Tina Mitrano. “Sono due le tribù dei pirati somali e non si sa quale delle due parti conduce la trattativa”. Timori per le scorte alimentari in esairimento ed il caldo soffocante. Diciotto maggio. Squilla alle 15 e 30 il telefono della signora Tina Mitrano. “Fai mandare il fax dalla compagnia”. Dall’altro capo della cornetta Verrecchia, su intimazione dei pirati, annuncia la richiesta di un riscatto pari a 16 milioni di euro, pena il trasferimento a terra in condizioni di prigionia ancora più dure per lui, il comandante, ed il primo ufficiale. Ventiquattro maggio. “L’hanno colpito con il calcio del fucile mentre tentava di alzarsi da terra, aveva male alla schiena, dato che sono seduti per terra dalla mattina alla sera” – è la nuova drammatica testimonianza della signora Mitrano. Interrogazione del deputato Angelo Compagnon. “Perchè dobbiamo morire?” – è il supplice appello lanciato da comandante Lavadera attraverso il quotidiano La Repubblica. La richiesta di riscatto si abbassa a 10,6 milioni a fronte dei 7,5 offerti dalla compagnia. Quattro luglio. Arriva sulle coste del Puntland Margherita Boniver, inviata dal ministro Franco Frattini. Otto settembre. Manifestazione a Roma sotto Montecitorio dove convergono decine di autobus da Procida, Piano di Sorrento, Gaeta e Trieste. I familiari sono ricevuti da Gianni Letta e Gianfranco Fini. Primo ottobre. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in visita a Napoli riceve una delegazione di familiari dei rapiti; ad agosto aveva già preso posizione in una lettera ufficiale. Nei giorni seguenti va in onda una drammatica diretta dalla nave organizzata dalla trasmissione di Raitre “Chi l’ha visto?”, in collaborazione con i colleghi di Libero Reporter. Venticinque novembre. Viene liberata dai pirati la nave mercantile “Rosalia D’Amato” sequestrata in aprile. Trenta novembre. Scade un nuovo ultimatum, i pirati minacciano tempi più lunghi per la conclusione. Diciannove dicembre. Il nuovo Ministro degli affari esteri Terzi di Sant’Agata scrive al sindaco Raimondi. È il primo contatto ufficiale in 8 mesi. Ventuno dicembre 2011. Ostaggi in libertà. Secondo l’agenzia di stampa Reuters in cambio di un riscatto di 11 milioni e mezzo di dollari.