FORMIA – Sarà la Regione Lazio e, più precisamente, il suo presidente pro tempo a sovrintendere il rilascio, da parte del comune di Formia, di un’importante concessione edilizia in una delle zone gravate da uno dei più alti indici edificatori previsti dal Piano regolatore generale nel quartiere popolare di Rio Fresco-Scacciagalline. Lo ha deciso, in maniera decisamente clamorosa, la seconda sezione del Consiglio di Stato che, grazie all’assistenza legale degli avvocati Aldo e Luca Scipione, ha premiato la perseveranza di una donna, Giovanna Camerota, che nel lontano 10 marzo 1994 aveva chiesto al comune di Formia di poter ottenere una regolare concessione edilizia per l’edificazione di 3000 metri cubi non molto lontano dalla chiesa parrocchiale di San Giuseppe Lavoratore.
I giudici di secondo grado – presidente Gabriele Carlotti, consiglieri Italo Volpe, Francesco Frigida, Giovanni Orsini e Carla Ciuffetti, hanno pesantemente censurato l’operato amministrativo della ripartizione urbanistica del comune che potrebbe ora diventare l’argomento di una miliardaria azione di risarcimento danni da parte del privato richiedente qualora il comune, alla luce della nomina del commissario regionale ad acta, dovesse confermare il suo diniego per il rilascio del titolo autorizzativo. Di fatto il Consiglio di Stato con la sentenza numero 2910/2019 ha accolto il ricorso in appello proposto contro il comune di Formia avverso il diniego che fu rilasciato dopo quasi otto anni dalla richiesta della signora Camerota, il 14 febbraio 2002. Ne scaturì un aspro e duro contenzioso tecnico-giudiziario che potrebbe non conoscere una parola fine. La signora Camerota l’impugno il mancato rilascio della concessione edilizia davanti il Tar del Lazio che il 12 giugno 2009 le diede ragione. Passata in giudicato questa decisione dei giudici del primo grado della magistratura (nel novembre di dicci anni fa) la privata diffidò il comune a pronunciarsi di nuovo sulla sua legittima istanza.
Il comune le comunicò un preavviso di rigetto ma qualche mese più tardi – al comune c’era un’amministrazione di centrodestra – con il provvedimento numero 90/2010, disse ancora di no. E la motivazione fu clamorosa: “Le aree su cui sviluppare edilizia residenziale all’interno del piano di zona 167 Scacciagalline sono state completamente edificate con utilizzazione totale della volumetria massima consentita dal Prg e dal vigente strumento esecutivo. Il progetto pertanto di pone pertanto in contrasto con le vigente norme del Prg per eccesso di volumetria”. Questa vicenda non avrà un epilogo penale solo perché il reato di sarebbe prescritto ma il commissario regionale ad acta dovrà ottemperare a quanto gli ha sentenziato il Consiglio di stato: la signora Camerota non può edificare quanto le prescrive il Piano regolatore generale di Formia in quanto i suoi indici volumetrici, a sua insaputa, in passato, nei primi anni novanta, le sarebbero stati “sottratti” per completare il piano di zona nello stesso quartiere di Rio Fresco. Gli avvocati Aldo e Luca Scipione nel loro ricorso al Consiglio di Stato hanno infatti rilevato come l’area della loro assistita sia stata inserita nel piano di edilizia per l’edilizia economica e popolare approvato dal consiglio comunale di Formia con la delibera 279 nel lontanissimo 1978, 41 anni fa.
Lo stesso Tar, con la sentenza numero 566/2009, ha fatto rilevare come la signora Camerota potesse edificare quanto consentito in quanto “al momento dell’esame della domanda di concessione edilizia il piano della zona 167 era diventato inefficace per la decorrenza del termine di 18 anni e, conseguentemente, il suo terreno, inserito nello stesso piano come verde pubblico attrezzato (destinazione rimasta inattuata alla scadenza del periodo di vigenza dello stesso strumento urbanistico) non fosse divenuto zona bianca”. In effetti nel corso del tempo non c’è stata una linearità di comportamento del comune di Formia nei confronti della signora Camerota. Se l’ex dirigente del settore urbanistica Stefania della Notte ha sempre esternato una linea dura, il suo predecessore, l’architetto Roberto Guratti, ha manifestato una certa lungimiranza arrivando ad ipotizzare una transazione, un accordo tra l’ente e la richiedente. Non se ne fece nulla perché la continuità amministrativa al comune di Formia tra una maggioranza ed un’altra ha sempre lasciato a desiderare. Da sempre peraltro. E ora cosa succederà? Intanto il comune di Formia, attraverso il dirigente della sua avvocatura interna, Domenico Di Russo, ha chiesto davanti il Consiglio di Stato il rigetto dell’appello della signora Camerota affermando come l’istanza del permesso a costruire è stata respinta secondo quanto stabilito dalle previsioni del Prg e poi sarebbe stata interamente utilizzata la volumetria disponibile per il piano decennale . Cosa verissima ma non per la signora Camerota che, non aprendo mai il suo cantiere, si sarebbe vista “sottratta” la volumetria che le aspettava per altri scopi…
Il consiglio di Stato non a caso ha condannato il Comune di Formia a pagare le spese legali di 3000 euro e gli ha concesso 90 giorni di tempo per rilasciare la concessione edilizia richiesta. E se il comune dovesse rimanere inerme? La seconda decisione del Consiglio di Stato: venga a Formia il presidente della Regione (in qualità di commissario ad acta) con facoltà di sub delega per eseguire la sentenza del Tar numero 599/2009. E chi dovrà rimborsare le spese che saranno eventualmente sostenute dal commissario regionale ad acta? Semplice, restano sempre a carico del comune di Formia.
Saverio Forte