CASTELFORTE – Viaggio all’inferno e ritorno. E’ quello che ha compiuto l’ex Comandante della Stazione dei Carabinieri di Castelforte, Vincenzo De Toro, al termine di un’inverosimile vicissitudine giudiziaria in cui è stato coinvolto dal gennaio 2006 in poi. Il sottoufficiale per le ipotesi di reato di concussione e di omissione d’ufficio di cui è stato a lungo indagato è stato addirittura sospeso da cinque anni dall’Arma creando un sentimento di incredulità e di sbigottimento negli ambienti della Compagnia di Formia e del Comando provinciale di Latina e naturalmente nella comunità di Castelforte di cui era un fidato punto di riferimento. E, invece, la caparbietà ad ottenere giustizia e la volontà a dimostrare la sua totale estraneità rispetto ai fatti contestati nella citazione in giudizio del Sostituto Procuratore Cristina Pigozzo gli sono state riconosciute, al termine di un durissimo contenzioso, dai giudici della prima sezione penale della Corte d’appello che lo hanno assolto con la formula del “fatto non sussiste”.
I guai giudiziari del Maresciallo De Toro, di 47 anni, abilmente assistito dall’avvocato Renato Archidiacono, erano iniziati quasi per caso e hanno avuto sullo sfondo la crisi di un rapporto coniugale come tanti. Il 10 gennaio 2006 una donna di Castelforte, Maria Rosa Mercuri, chiese di sporgere denuncia-querela contro il marito, Savino Troia, dal quale si stava separando. Il motivo? Le continue percosse e maltrattamenti di cui erano vittime la donna e i suoi stessi figli. L’ipotesi di omissione d’ufficio si sarebbe concretizzata – secondo le risultanze investigative compiute dagli stessi Carabinieri della compagnia di Formia – nel momento il Comandante De Toro si sarebbe rifiutato di ricevere e verbalizzare le denunce della donna. In più il sottoufficiale si sarebbe rifiutato di evadere la richiesta, pervenutagli dal Commissariato di Formia, di identificare la stessa signora Mercuri che, alla luce della presunta opposizione del Maresciallo dell’Arma a ricevere la sua denuncia, si rivolse presso il distaccamento formiano di pubblica sicurezza. Il reato di concussione sarebbe stato consumato in quella stessa giornata di 13 anni fa. I coniugi vivevano già separati in due distinti appartamenti nello stesso stabile e questo già difficile menage familiare sarebbe stato complicato dal ruolo svolto dal figlio, all’epoca poco più che ventenne, della coppia.
Savino Troia, di professione maresciallo dell’Esercito, aveva acquistato, a sue spese, una berlina di ultima generazione al figlio e si era prodigato per trovargli un posto di lavoro nel cassinate quando il giovane, tra la sorpresa e la meraviglia generale, si dimise da quell’incarico….Secondo l’accusa il Maresciallo De Toro avrebbe costretto il giovane a ritirare la denuncia-querela per il furto – a suo dire – delle chiavi della sua Bmw quando le stesse erano state ritirate “per punizione” dal padre decisamente arrabbiato. Al termine del processo di primo grado, celebrato nel 2014, il Tribunale di Latina, recependo la requisitoria della Procura, condannò il Maresciallo De Toro a due anni di reclusione e, per certi versi, accolse la versione dei fatti del figlio del Maresciallo Troia. A suo dire il Comandante della Stazione dei Carabinieri di Castelforte gli avrebbe proferito queste testuali parole: “Se non avessi ritrattato, mi avrebbe messo sotto controllo ed al minimo errore mi avrebbe fatto passare dei guai”.
La difesa dell’avvocato Renato Archidiacono nel corso del processo d’appello, grazie ad una ricca documentazione fotografica e testimoniale, ha assolto con formula piena il Maresciallo De Toro smentendo nei fatti la ricostruzione dei fatti evidenziata dal figlio del Maresciallo dell’esercito di Castelforte. Naturalmente la prima istanza che formalizzerà il Maresciallo, attraverso l’avvocato Archidiacomo, è di essere rientegrato nell’Arma e di riprendere una carriera interrotta da accuse infondate e calunniose. L’inferno – come detto – andata e ritorno.
Saverio Forte