SABAUDIA – Si terrà domenica 29 settembre, alle ore 17, la prima presentazione del nuovo libro di Gian Luca Campagna “L’estate del mirto selvatico”, edito dai Fratelli Frilli. L’evento si svolgerà nella Proprietà Scalfati, sotto il monte Circeo e sulle sponde del lago di Paola, a Sabaudia.
IL LIBRO. Protagonista di questo noir è Federico Canestri, scrittore in crisi con la moglie e in difficoltà creativa, chiuso in una bolla indolente nel suo appartamento di Roma, finché apprende dal web che in una cavità del Monte Circeo è stato ritrovato uno scheletro di un adolescente. Federico forse sa di chi sono quei resti. È lì che affiorano i ricordi su quell’estate che ti cambia, che appartiene a quel periodo dell’adolescenza in cui scopri l’amore, l’invidia, la gelosia, i tradimenti. È l’estate in cui sulle spiagge di Sabaudia la banda dei buoni, guidata da lui, detto Barabba, insieme allo sbruffone Hollywood, al timido Tasso Mannaro, alla bella Camicetta e all’impacciato Dracula, si fronteggia con la banda dei bulli, capeggiata dall’arrogante Hammer, i rissosi Crisantemo, Kamikaze e Moscarda, più le disinibite Mantide e Raffa. Federico deciderà di tornare all’ombra del Circeo per affrontare finalmente il passato, la misteriosa scomparsa di Dracula, il rapporto conflittuale col padre, la vita felice vissuta con Veronica, cercando decisive risposte nel presente. Ma chi erano veramente i suoi amici? E il padre? E lui? Lui è veramente chi crede di essere? In un doppio percorso temporale e narrativo Federico cercherà di scovare gli amici e i nemici di quell’estate che lo ha cambiato per sempre, per scoprire in un perverso gioco di verità, reticenze e bugie cosa è accaduto in quella tragica notte del 3 luglio 1990.
L’AUTORE. Gian Luca Campagna (Latina, 1970) è giornalista, scrittore e comunicatore. Per sua stessa ammissione, scrive e legge per evitare il processo di analfabetismo di ritorno. Ha pubblicato i romanzi ‘Molto prima del calcio di rigore’ (Draw Up, 2014), ‘Finis terrae’ (Oltre, 2016), vincitore sezione emergenti al Premio Romiti e secondo al Giallo Indipendente del Salone del Libro di Torino, ‘Il profumo dell’ultimo tango’ (Historica, 2017), vincitore del premio giuria al Premio Barliario di Salerno.
Alcune considerazioni dell’autore
“Questo romanzo chiude il ciclo del perdono, della giustizia e della vendetta. Non me ne ero accorto, poi lo analizzi quello che scrivi e arrivi a qualche conclusione. La vita tra le piccole e le grandi cose danza sempre su questo filo: nel primo, ‘Fins terrae’, il giornalista Angelo Corelli abdica, lascia a Dio quel compito supremo, perché non è il suo ruolo, perché non è il suo mestiere. Lui, da cronista, deve solo scovare la verità, un po’ per lui (e per la sua coscienza), un po’ per i lettori. Ne ‘Il profumo dell’ultimo tango’ Josè Cavalcanti si lascia travolgere dalla Storia, lui è un detective, un po’ epicureo, rissoso, volgare, anarchico, ma lui è consapevole che la vendetta non è partigiana, capisce che è un rito collettivo perché risiede nella grande tragedia che ha colpito l’America Latina durante il periodo del Piano Condor. E anche lui come Corelli rifiuta vigliaccamente una soluzione diretta. Ed ecco il paradosso, il protagonista di questo romanzo è un mite scrittore di romanzi, Federico Canestri, anche lui si trova catapultato in un fatto privato, ma comprende che la volontà divina che si muove tra vendetta, perdono e giustizia è cavillosa, porosa, non ha un percorso lineare, è difettosa quanto quella degli uomini, quindi batte quei sentieri violentando se stesso. Quando si ricerca la verità si violenta se stessi, si compie la più grande ricerca umana, perché indaghi, interroghi, incroci dati e parole, la verità poi non veste mai di bianco, ha abiti che si sporcano con facilità. Lui vorrebbe capire perché un suo amico tanti anni fa è scomparso in circostanze ancora mai chiarite sul monte Circeo, capire chi erano i suoi amici, capire quale maschera indossa la moglie, comprendere il rapporto che viveva col padre, infine capire anche chi è lui”.
“Spesso mi chiedono è un romanzo noir? No. È un romanzo d’amore? No. È un thriller? No, mi verrebbe da sbuffare. Vabbè, esce con l’editore Frilli, quindi è un giallo. Ti ho detto di no dico a chi me lo chiede. Il mio padre narrativo, Diego Zandel, dice che un romanzo è un romanzo. Un totem della letteratura italiana come Giancarlo De Cataldo dice che non esistono i toni cromatici dei romanzi, esiste il dualismo tra romanzi belli e brutti. Un romanzo è forse quando contiene e abbraccia tutti i generi, quindi sfugge alle omologazioni e ai clichè, sebbene poi da quelli parte e guai se non fosse così, affronta il mare oltre le Colonne d’Ercole, ti scaraventa in storie nuove seppure tra bonaccia e tempesta l’ambiente quello è. E invece no. Cambia il comandante, il timoniere, l’equipaggio e le terre da esplorare, anche se l’acqua è vischiosa e ti trattiene…”.
“La verità non von veste mai di bianco. Ha paura di macchiarsi. Lo hanno sempre pensato i miei personaggi, da Angelo Corelli nella sua amata ipotetica Villareale a Josè Cavalcanti nella sua conflittuale Buenos Aires fino ad arrivare a Federico Canestri, attratto dal Circeo. Il Circeo, cioè quello spicchio di macchia mediterranea, dune sabbiose come borotalco, laghi salmastri e mare cristallino, te lo immagini come un Eden, ma in ogni Paradiso troviamo il serpente e la sua Eva. È lì che esplode la volontà della ricerca ontologica a tutti i costi del protagonista, stretto tra passato, presente e futuro, che gli strangolano sentimenti ed emozioni”.
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