GAETA – Il nuovo governo Conte trovi il tempo per occuparsi anche di uno dei misteri italiani degli ultimi anni, l’atto di pirateria internazionale di cui vittima la petroliera italiana “Savina Caylyn” dall’8 febbraio al 21 dicembre 2011 nelle acque somale dell’Oceano indiano. A bordo del mercantile di proprietà della società armatrice “Fratelli D’Amato” di Napoli c’era all’epoca dei fatti Antonio Verrecchia, l’ormai 70enne ex direttore di macchina di Gaeta che da questa vicenda, oltre al danno, ha rimediato anche una duplice ed atroce beffa. A denunciarlo è il suo storico legale, l’avvocato Vincenzo Macari che ha scritto una dura e mirata lettera inviata ai neo Ministri della Difesa e degli Interni, Lorenzo Guerrini e Luciana Lamorgese.
Verrecchia non è più lo stesso da quella drammatica esperienza, professionale ed umana, costellata da minacce e violenze, fisiche e psicologiche, mentre qualche autorità italiana, dopo dieci lunghi mesi di prigionia, “ha pagato – ed un’accusa ben circoscritta evidenziata nella lettera al governo Conte – un riscatto”, pari a 11 milioni e mezzo di dollari, che sarebbe servito, in cambio della liberazione della nave e del suo equipaggio, a finanziare tre pericolose organizzazione terroristiche, di ispirazione islamica, operanti nel corno d’Africa. Verrecchia nel corso di questi anni è diventato un altro uomo: ha perso il lavoro e le sue condizioni psicopatologiche – si legge nella lettera ai Ministri Guerini e Lamorgese – “vanno ulteriormente e progressivamente deteriorandosi generando una situazione di sostanziale abbandono e scadimento dell’’io’”.
L’avvocato Macari ha chiesto alla nuova titolare del Viminale, per esempio,di far esaminare questo caso alla commissione medica ospedaliera speciale sulle vittime del terrorismo perché, attraverso la convocazione di una visita medica, accerti le reali condizioni di salute di Verrecchia per appurare la sua peggiorata stabilità psico fisica. Questa è una reiterata richiesta già sottoposta in ben tre precedenti circostanze: il 28 maggio ed il 22 novembre 2018 ed il 28 maggio scorsi. E le risposte – secondo l’avvocato Macari – sono state assai imbarazzanti. Il Ministero degli Interni ha fatto sapere che il fascicolo del “signor Verrecchia è ancora in istruttoria poichè questa amministrazione centrale è in attesa degli imprenscindibili (!!!) accertamenti dei requisiti soggettivi in campo al richiedente”. Si tratta di “imprescindibili accertamenti” che accertino, dunque, i gravissimi fatti e condotte consumate all’ex marittimo di Gaeta di cui si sono occupati a pià riprese i pm della Procura di Roma che è competente per episodi di terrorismo internazionale. La situazione è diventata Pirandelliana e l’avvocato Macari ha rispolverata una lettera del 13 marzo della stessa commissione medica del Ministero gli Interni: “Si rappresenta che non risulta tuttora pervenuta a questa Cmo la pratica relativa al signor Verrecchia”. Tradotto: Il Viminale necessita di “imprescindibili accertamenti medico legali per poter compiutamente valutare la fondatezza della domanda ed il ricorrere dei requisiti di legge, accertamenti che non giungeranno mai se lo stesso Ministero degli Interni, come evidenziato dalla sua stessa commissione, non rimette il fascicolo completo dei documenti a corredo”.
Il legale dell’ex direttore di macchina va giù duro quando ribadisce come la “giustizia non è, allo stato, riuscita né ad individuare i mandanti, né gli organizzatori ed esecutori del sequestro” e l’avvocato Macari si rivolge direttamente ai neo Ministri Guerini e Lamorgese di esperire tutti i tentativi previsti dalla legge “per dare impulso alla pratica finalizzata a riconoscere ad un onesto lavoratore il giusto ristoro per le gravissime violenze subite (leggere i vervali di ricostruzione dei fatti è davvero raccapricciante!) che ne hanno irreversibilmente minato la stabilità psico-fisica”. L’iniziativa dell’avvocato Macari ha, inoltre, anche un risvolto processuale. Per lo stato italiano l’unico indagato con l’accusa di sequestro di persona e lesioni gravissime compiute per finalità di terrorismo internazionale è Mohamed Farah, il somalo ora 27 anni, arrestato dai Ros dei Carabinieri e dalla Digos della capitale presso il centro di permanenza per i rimpatri ‘Pian del Lago’ di Caltanissetta, dove aveva chiesto lo status di rifugiato all’Italia. Secondo la tesi accusatoria mossagli da piazzale Clodio il giovane somalo avrebbe svolto un strategico ruolo di primissimo piano nella gestione del sequestro, in particolare, di cinque marittimi italiani, tra questi, appunto, Antonio Verrecchia di Gaeta.
Il giovane, tuttora recluso nel carcere calabrese di Rossano, ha dichiarato, attraverso gli avvocati difensori Vittorio Platì e Duglas Duale di essere nato nel 1995 e, dunque, nel 2011 aveva sedici anni. I giudici della prima sezione Corte d’Assise – il pm d’udienza era il dottor Sergio Colaiocco, secondo il quale il somalo sarebbe nato il 4 aprile 1993 come ammesso dal giovane al momento della prima identificazione subito dopo lo sbarco in Italia ed in occasione della convalida del fermo davanti il Gip del Tribunale di Castrovillari e finanche in occasione del rinvio a giudizio disposto dal Gup del Tribunale di Latina il 2 luglio 2018 – gli hanno creduto e nell’ultima udienza il 19 dicembre scorso si sono dichiarati incompetenti. Neanche i periti nominati dalla Corte d’Assise sono riusciti a capire quanti anni abbia realmente ora (e all’epoca del sequestro) Farah e così i giudici hanno rimesso gli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni che, a distanza di dieci mesi, non si è ancora pronunciato.
Saverio Forte
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