GAETA – L’”Interminal” nella movimentazione del materiale ferroso sulle banchine del porto commerciale “Salvo D’Acquisto” di Gaeta non ha fatto altro che svolgere il ruolo logistico per il quale era diventata concessionaria per conto della stessa ex Autorità portuale del Lazio. La sua attività si è concretizzata esclusivamente nell’imbarco di questi rifiuti ritenuti pericolosi con destinazione una fonderia in Turchia. Non le competeva la mansione della loro gestione e di questa “esclusività” erano abbondantemente a conoscenza tutte le autorità e istituzioni impegnate quotidianamente nello scalo di Gaeta.
Si può sintetizzare in questi punti la lunga ed appassionata arringa degli avvocati Chiara Ognibene e Gianrico Ranaldi, i legali della società “Interminal” intervenuti nel terz’ultimo atto del processo in corso di svolgimento davanti il Tribunale di Cassino – presidente Massimo Capursio, giudici a latere Gioia e Manuel – per la presunta gestione ed illegittima gestione dei rifiuti ritenuti pericolosi sulla banchina del porto commerciale di Gaeta. Soprattutto il professor Gianrico Ranaldi ha tentato di smantellare il castello accusatorio del magistrato titolare delle indagini, il sostituto procuratore Alfredo Mattei, che, nell’ambito dell’operazione “Porto sicuro” ha indagato diverse persone, a vario titolo, per corruzione, falso e traffico illecito di rifiuti per come sarebbero state gestite 4500 tonnellate di materiali ferrosi provenienti dalle province di Latina e Frosinone e dalla vicina Campania, raccolti sulle banchine del porto di Gaeta per essere imbarcati – come detto – alla volta della Turchia. La società “Interminal” – ha rimarcato l’avvocato Ranaldi – ha rispettato soltanto il regolamento portuale in relazione alla logistica e, dunque, all’imbarco del materiale sulle navi in partenza da Gaeta.
Oltre alla contestazione dei reati di carattere “ambientale”, la Procura di Cassino avviò un altro tipo di indagine per verificare le modalità di assegnazione delle aree portuali, classificate come pubblico demanio marittimo. Secondo gli inquirenti l’ente pubblico gestore avrebbe applicato tariffe per l’occupazione del pubblico demanio marittimo portuale dieci volte inferiori a quelle previste. Illeciti vantaggi patrimoniali ed amministrativi che sarebbero stati ricambiati dalla società “Interminal” con assunzione a tempo indeterminato di personale indicato dall’ente pubblico. Gli inquirenti rinvenirono quelli che furono dichiarati corpi estranei che li hanno portati a dubitare della corrispondenza del prodotto dichiarato rispetto a quanto effettivamente conferito in ambito portuale. La vicinanza del prodotto contaminato alle acque del Golfo e la mancata adozione delle necessarie precauzioni avrebbero comportato il loro “rotolamento” a mare.
Tra gli imputati eccellenti c’è proprio l’ex responsabile della filiale di Gaeta dell’Autorità portuale del Lazio, Franco Spinosa, che – secondo la tesi dell’accusa – avrebbe chiesto, in cambio, un posto di lavoro per un giovane di Gaeta in cerca di occupazione dopo essere stato impegnato in un’analoga attività professionale presso il porto di Napoli. L’avvocato Ranaldi ha evidenziato due aspetti: Spinosa a questo giovane non era legato da alcun tipo di rapporto di parentale e familiare e, all’epoca dei fatti, non aveva più i tutti i poteri di firma che avevano caratterizzato sino allora la sua dirigenza. Le arringhe difensive degli avvocati Ognibene e Ranaldi hanno fatto seguito alla pesantissima requisitoria del sostituto Procuratore Alfredo Mattei secondo il quale chi avrebbe dovuto controllare e vigilare non l’avrebbe fatto. Aveva chiesto una maxi-condanna a sette anni di mezzo di reclusione nei confronti di Franco Spinosa, l’allora responsabile della filiale di Gaeta dell’ex Autorità portuale del Lazio che addirittura venne sospeso in via preventiva dalle sue funzioni dirigenziali. Sei anni di carcere era stata la richiesta di condanna per Nicola Di Sarno, l’allora amministratore unico della società di movimentazione di queste merci, appunto la “Interminal srl” di Gaeta, mentre di un anno e cinque mesi di reclusione è l’entità della requisitoria formalizzata sempre dal rappresentante della Procura rispettivamente nei confronti dell’intermediario siciliano Andrea Di Grandi e del professionista contabile Daniele Ripa di Castrocielo, in provincia di Frosinone.
Il Pm Mattei per una serie di illeciti amministrativi – alcuni dei quali già prescritti – ha sollecitato anche la condanna alla sanzione pecuniaria di 630 mila euro ai danni della “Interminal” e alla confisca del presunto profitto del reato stimata in 685mila euro, di 405mila euro rispettivamente per altre due società legate alla movimentazione di questa merce, la “Ela srl” e la “Di Grandi srl”. Se il collegio giudicante dovesse accogliere questa istanza, per queste due società ci sarebbe un altro fardello economico da onorare: la confisca del profitto del reato stimata in quasi 364mila euro. La prossima udienza, calendarizzata per il prossimo 21 novembre, potrebbe essere la più importante dell’intero processo: interverrà l’avvocato Vincenzo Macari, il legale che assiste i due principali imputati, l’imprenditore Nicola Di Sarno e l’ex dirigente della filiale gaetana dell’ex Authority, Franco Spinosa. Le loro “versioni” sui fatti contestati potrebbero incidere molto sull’entità delle sentenza in programma (dopo le controrepliche) il 16 gennaio 2020.
Saverio Forte