LATINA/MINTURNO – Contrae la Tbc sul luogo di lavoro, l’ospedale Icot di Latina, e a distanza di due anni dal contagio è ancora lì in servizio e dunque un reale pericolo per gli altri ricoverati e i suoi stessi colleghi di lavoro. E’ originaria di Minturno, dov’è nata 65 anni fa, e risiede a Latina l’infermiera professionale che, attraverso il suo legale, l’avvocato Renato Mattarelli, asserisce di aver contratto la tubercolosi da una paziente impegnata nella fase di riabilitazione dopo essere stata colpita da un ictus.
I fatti si sarebbero verificati il 27 settembre ed il 4 ottobre 2017 quando la paziente affetta dalla Tbc non venne portata – come da protocollo – in isolamento. L’infermiera, così come l’intero personale che ebbe in cura la paziente proveniente dall’ospedale S.Maria Goretti, fu sottoposta ad alcuni test – la mandù ed il quantifero – che risultarono negativi. Ma la dipendente dell’Icot, nonostante ripetute segnalazioni sull’aggravamento del suo quadro clinico, rimase in servizio e la certificazione del contagio arrivò ufficialmente il 12 marzo, dato confermato dai diversi esami successivi, uno dei quali svolto, grazie ad una Tac, presso l’ospedale “Umberto 1°” di Roma. La donna dovette interrompere alcune cure cortisoniche per fronteggiare una pregressa artrite psoriasixca cronica, le era stata diagnosticata una chemioterapia che ha dovuto, invece, sospendere per una reazione avversa alla funzione epatica e al sistema immunitario.
L’infermiera originaria di Minturno, intanto, non può più affrontare terapie chirurgiche e, per di più, è caduta in depressione. La vicenda umana si è subito trasformato in un contenzioso legale. L’avvocato Mattarelli accusa il gruppo che controlla l’Icot di non aver avviato una formale denuncia di sinistro sul lavoro e di non rispondere a diverse richieste di informazioni. Da qui la decisione di chiedere le cartelle cliniche della paziente contagiante la Tbc e di sollecitare l’arrivo degli ispettori del Ministero della salute. La donna spera che non sia troppo tardi perché si considera una “bomba umana pronta ad esplodere”.
“Quando ho saputo di essermi infettata, sul posto di lavoro, a causa di una paziente con la Tbc, ho provato angoscia, timore e sofferenza su l’impossibilità a curarmi a causa delle mie patologie preesistenti – ha dichiarato l’infermiera di 65 anni – Informando la direzione dell’Icot ,sono caduta in depressione, viste le loro indifferenze, negligenza e abbandono verso la sottoscritta che mi ha fanno sentire sola ed imponente. Dopo essermi rivolta ad un neurologo e al medico di famiglia che mi ha indirizzato dell’Asl, ho appreso che non potevano curarmi a causa della terapia troppo invasiva per la mia età. Finalmente vengo presa in cura da un infettivologo e inizio una cura ed esami di controllo ogni 15 giorni. Cura che sospendo dopo un po’ di tempo a causa di problemi epatici. Ciò mi fa sprofondare ancora nella sofferenza e paura del futuro con crisi di panico. Ciò perché a causa del mio lavoro, posso creare problemi alla gente e le persone a me, oltre la paura verso ogni cosa a stare nei luoghi chiusi. Mi sento oppressa e limitabile nelle cose quotidiane. La mia vita è cambiata ed è difficile accettare questo a causa della negligenza da parte dei responsabili della struttura dove lavoro, che avrebbero dovuto prendere provvedimenti per la mia salute e quella delle persone che mi circondano”.
L’avvocato Mattarelli intanto ha scritto una dura lettera al Gruppo Giomi che controlla l’ospedale Icot e soprattutto al Ministero della salute in cui evidenzia come la sua assistita “sia in cura per una depressione reattiva da consapevolezza del contagio e all’isolamento sul posto di lavoro. La donna vive nella paura di contagiare i propri familiari conviventi e, non ultimo, il personale sanitario e i pazienti della stessa struttura sanitaria”.
Saverio Forte