MINTURNO – Non è incompatibile, tutt’altro, la presenza di una centrale biogas che una società privata, l’”Alpha Consulenze”, intende realizzare nella zona archeologica di Minturnae, non molto lontano dall’omonimo teatro romano e dal ponte borbonico sul fiume Garigliano. Anzi, ora, più che mai, la Regione Lazio riprenda l’iter per l’emissione del suo parere di valutazione di impatto ambientale. Lo ha sentenziato la prima sezione di Latina del Tar del Lazio che ha respinto il ricorso promosso il 19 gennaio 2019 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri dopo il parere negativo espresso il 7 aprile 2016 dalla Soprintendenza dei beni archeologici che aveva considerato “altamente impattante” la realizzazione di un impianto, in località Cava della Creta, a Minturno, di compostaggio e di gestione anaerobica finalizzata alla produzione di biogas ed energia rinnovabile pari a 999 kw.
Il Tar ha preso atto, invece, come fossero stati positivi i pareri espressi, ciascuno per le sue competenze, da Regione, Provincia e Comune nella conferenza di servizi, il cui esito, in parte, era stato impugnato dalla presidenza del consiglio dei Ministri. La soprintendenza ai beni archeologici aveva tentato di bloccare il progetto affermando come la struttura insista in una zona di pregevole importanza – il complesso di Minturnae e la Via Appia antica – come dichiarato in una richiesta di inserimento tra i siti dell’Unesco. Il Tar è stato implacabile: la domanda è stata formulata tre anni fa e non ha avuto un esito favorevole e, poi, la via Appia non risulta affatto adiacente all’impianto progettato dal privato che, invece, è separato da una zona abitata (su cui sorgono un albergo e numerose abitazioni residenziali), dall’Appia e dalla variante Formia-Garigliano.
“Il nostro comune ha espresso un parere limitatamente al vincolo urbanistico dell’area localizzata dal privato – ha dichiarato il sindaco di Minturno Gerardo Stefanelli – e siamo stati garantiti da un progetto, innovativo, che, come hanno sentenziato i giudici amministrativi, non ha nulla a che fare con l’area e la zona archeologica di Minturnae. Speriamo che dopo questo pronunciamento del Tar l’iter riprenda e si definisca nell’interesse di tutte le parti in causa”. Soprattutto ad auspicare tempi ragionevolmente certi è l’”Alpha Consulenze” di Gian Piero Phil Moschetti che si è costituita davanti al Tar assistita dagli avvocati Aldo Sandulli, Benedetto Cimino e Stefano Battini per difendere la validità di un progetto presentato il 10 marzo 2015 alla Provincia di Latina per ottenere l’autorizzazione unica ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo numero 387/2003.
Nello specifico la Soprintendenza Archeologia del Lazio e dell’Etruria Meridionale invece aveva espresso un parere negativo avanzando una serie di considerazioni che il Tar ha “demolito”: l’esistenza di un procedimento di predisposizione degli elaborati per l’inserimento del Minturnae e della via Appia Antica tra i siti Unesco; l’esistenza di una particolare attenzione sulla Via Appia da Roma a Brindisi con progetti di valorizzazione impressa dalla riforma del Mibact; la vicinanza dell’area di localizzazione dell’impianto con il perimetro dell’area demaniale (200 metri in linea d’aria), al contesto storico-archeologico costituito dalla via Via Appia, dalla città romana Minturnae e dal Ponte Borbonico; il contrasto dell’impianto con la destinazione dell’area; la necessità di salvaguardare le aree contermini come “buffer zone” al fine di non compromettere pianificazioni e interventi di riqualificazione territoriali e l’impegno della Soprintendenza a non consentire ulteriore degrado dell’area oltre la Superstrada.
E invece la sentenza del Tar – presidente Antonio Vinciguerra. Giudice relatore Roberto Maria Bucchi – ha ribadito come sia “infondata l’affermazione dell’incompatibilità dell’impianto con la destinazione dell’area perché in base all’articolo 12 comma 7 del decreto legislativo 387/2003 gli impianti possono essere ubicati anche in zone agricole. L’area prescelta per la realizzazione dell’impianto è del tutto esente da alcuna forma di vincolo e forma di tutela rafforzata e risulta compatibile con tutti gli strumenti di pianificazione sia regionali che provinciali e comunali, ol procedimento di dichiarazione dell’area come sito Unesco non risulta iniziato e non può rappresentare un impedimento ai fini della realizzazione dell’impianto della ricorrente. E in ogni caso anche l’eventuale dichiarazione dell’area come sito Unesco non si tradurrebbe necessariamente si legge testualmente nella sentenza del Tar del Lazio in un impedimento alla realizzazione dell’impianto.”
Il Tar inoltre ha accusato la Soprintendenza di aver fatto un “generico riferimento” alla nozione di ‘buffer zone’ “senza chiarire quale sia la fonte normativa di riferimento applicabile nel caso di specie; peraltro, allo stato non esiste alcuna dichiarazione di sito Unesco, e anche se vi fosse stata non potrebbe comunque precludere la realizzazione del progetto della ricorrente. E poi l’affermazione che dalla realizzazione dell’impianto non possa che derivare un ulteriore degrado dell’area è del tutto infondata ed errata e anzi l’impianto produrrebbe effetti positivi sotto molteplici aspetti…” I giudici amministrativi – come detto – hanno chiamato in causa ora la Regine Lazio e la Presidenza del Consiglio dei Ministri – la cui delibera “è altresì viziata nel merito a causa di una carente istruttoria, che si traduce a sua volta in eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione posto che non viene fatto alcun riferimento all’interesse pubblico connesso alla realizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica (biogas) da biomasse – ad “ultimare la procedura, compresa la ricerca di una soluzione condivisa valutando soluzioni progettuali alternative, che nella specie non sono stati attuati. E ancora censure del Tar contro il blocco del progetto arrivano nella parte della sentenza che interpreta il contenuto dell’articolo 1 del decreto legislativo numero 387 del 29 dicembre 2003 in base al quale “Le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti, autorizzate ai sensi del comma 3, sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti”. Si tratta di previsioni che si inseriscono nel più ampio quadro degli obiettivi comunitari, nell’ambito dei quali “il trattamento dei rifiuti organici per la produzione di bioenergia e bioprodotti assume posizione prioritaria posto che “consente la riduzione dello spreco di risorse, minimizzando il forte impatto ambientale derivante dal conferimento in discarica di tali rifiuti (putrescibili), e al tempo stesso realizzando i dettami della cosiddetta “economia circolare”.
Insomma la Soprintendenza ai beni archeologici – secondo il Tar – aveva emesso un parere negativo “sulla base di mere considerazioni non supportate da elementi concreti e inconfutabili” così come il richiamato vincolo paesaggistico previsto dalla legge regione numero 24/98 “è derogabile”. L’amministrazione della stessa Soprintenza nella discussione davanti il Tar aveva eccepito il rilascio di questa deroga per la “possibilità di sviluppo dell’area a fini turistici, per le visite al vicino sito archeologico e la fruizione della struttura del teatro antico, attività che sarebbero fortemente pregiudicate dalla realizzazione dell’impianto in esame caratterizzato tra l’altro da sgradevoli emissioni e per la prossimità dell’area col tracciato dell’Appia Regina Viarum per il quale è stato formulato di un progetto di valorizzazione della Via Appia oggetto di un protocollo di intesa stipulato tra il Ministero per i beni e le attività culturali e le regioni Lazio, Campania, Puglia e Basilicata”. I terreni dove dovrebbe sorgere l’impianto “sono allo stato abbandonati e degradati” ma anche su questo la Soprintendenza aveva alzato un muro contro muro.
In pratica l’opera, in grado di soddisfare circa il 10% dell’attuale fabbisogno di trattamento di rifiuti organici della Regione Lazio e in grado di produrre energia elettrica dallo smaltimento di questi rifiuti, non può essere realizzata, in un’area allo stato “abbandonata e degradata”, in ragione della teorizzata emissione di odori sgradevoli dall’impianto e della esistenza di un protocollo di intesa tra Ministero e regioni per la valorizzazione dell’area stessa che, però, allo stato costituisce – scrivono testualmente i giudici del Tar – solo una mera dichiarazioni di intenti”. Il Tar, altresì, definisce “parimenti inconsistenti le ulteriori motivazioni contrarie al rilascio della “Via”(valutazione di impatto ambientale) espresse dal Ministero per i beni e le attività culturali nel parere impugnato con il ricorso a causa dell’avvio del procedimento di “predisposizione degli elaborati per l’inserimento di Minturnae e della Via Appia antica tra i siti dell’Unesco e alla “necessità di salvaguardare le aree contermini come “buffer zone” al fine di non compromettere pianificazioni e interventi di riqualificazione territoriali”.
E da qui sono scaturiscono le ultime censure mosse dal Tar nei confronti della Soprintendenza: “Questo procedimento presso l’Unesco non è mai sinora stato avviato, nonostante il decorso di ben tre anni. Un’eventuale dichiarazione non si tradurrebbe necessariamente in un impedimento alla realizzazione dell’impianto, dal momento che il riconoscimento di un’area come sito Unesco non coincide con l’imposizione automatica alla stessa di un vincolo di inedificabilità assoluta”. Da qui il Tar ha dichiarato “improcedibile” il ricorso presentato, ha annulla la delibera della Presidenza del Consiglio dei Ministri impugnata condannando Palazzo Chigi al pagamento di 6000 euro di spese legali. Più l’iva naturalmente…
Saverio Forte