MINTURNO – Soldi e regalie in cambio di un atteggiamento di compiacenza e di sudditanza nei confronti di Francesco Diana e Massimo Iovine, due boss del clan dei Casalesi reclusi al 41 bis nel carcere di Carinola, in provincia di Caserta. E’ stato condannato in via definitiva Agostino Perretta, l’agente di polizia penitenziaria di Minturno di 54 anni nei confronti del quale la Corte di Cassazione ora ha dichiarato inammissibile il ricorso confermando la sentenza pronunciata, invece, dai giudici della Corte d’Appello.
Peretta venne arrestato nel 2012 e, quando venne sospeso dal servizio per un altro provvedimento disciplinare, si trovava già agli arresti domiciliari per questa gravissima vicenda. Ad inchiodare l’agente di polizia penitenziaria minturnese furono gli stessi Diana e Iovine nel momento in cui divennero collaboratori di giustizia. Furono i due boss a ricostruire cosa realmente avveniva dietro le sbarre della struttura carceraria dell’alto casertano. Perretta in cambio di soldi o di altre utilità non sottoponevano i due reclusi alle previste perquisizioni prima dei colloqui con i familiari. E le agevolazioni erano le più disparate: favoriva così l’ingresso in carcere di eventuali ‘pizzini’, la possibilità di veicolare all’esterno del carcere direttive ai familiari dei due detenuti o avvisava loro della presenza di intercettazioni durante i colloqui con i rispettivi familiari o in cella.
Secondo la ricostruzione dell’accusa, Perretta aveva consegnato ai due boss droga, telefoni cellulari, profumi, orologi e altri prodotti vietati, in cambio otteneva non solo di somme di denaro ma anche cassette di pesce, cesti natalizi nonché serate in locali notturni riconducibili a soggetti legati allo stesso clan dei Casalesi. Una volta diventati collaboratori di giustizia, sono stati gli stessi Iovine e Diana ad accusare la guardia carceraria di Minturno, di fatto incastrandolo.
La Cassazione ha giudicato le dichiarazioni dei due pentiti, detenuti per un periodo anche nella stessa cella, “precise, costanti e spontanee”. E ha anche escluso possibili motivi di risentimento che “giustificassero una fraudolenta concertazione ai danni” dell’agente da parte dei due pentiti. Inoltre, è stata confermata anche l’aggravante mafiosa in quanto i favori “elargiti ai due esponenti camorristi – la cui caratura era ben nota – erano volti ad agevolare l’associazione criminale di riferimento, sia consentendo la consegna di pizzini durante i colloqui, così da far uscire informazioni utili all’organizzazione, sia neutralizzando le attività investigative svolte nel carcere”.
Saverio Forte
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