FONDI – Resta in carcere il pakistano di 44 anni ritenuto il responsabile dell’aggressione che lunedì mattina ha provocato la morte di Emilio Maggiacomo, il contadino di 69 anni ucciso in maniera davvero efferata – e lo ha confermato la lunghissima autopsia svolta mercoledì pomeriggio presso il cimitero di Fondi dal medico legale Alessandro Mariani nominato dalla Procura di Latina – all’interno della propria proprietà in via Molelle, in contrada San Raffaele, una zona molto impervia ai confini del comune di Itri. Lo ha deciso il Gip del Tribunale del capuologo pontino che, non convalidando il fermo di polizia giudiziaria chiesto dal commissariato di Polizia di Fondi (perché non è motivato da alcun pericolo di fuga dell’indagato pakistano), ha accolto la richiesta del magistrato titolare delle indagini, il sostituto procuratore Claudio De Lazzaro, di emettere nei confronti del 44enne immigrato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.
Dopo le nostre anticipazioni su un delitto davvero cruento – Maggiacomo è morto per una serie di profondi traumi contusivi multipli, soprattutto al torace e al cranio, e di copiosa emorragia interna – di questa vicenda si occuperà un’altra Procura. Sarà quella di Cassino che diventa competente per territorio per poco meno di… cento metri. Il delitto materialmente è avvenuto in una boscaglia di proprietà della vittima ricadente nel comune di Itri anche se Maggiacomo e la moglie risiedono nel comune di Fondi. Il Gip La Rosa dovrà inviare l’intero carteggio processuale al collega del Tribunale di Cassino che, in base all’articolo 27 del Codice di procedura penale, avrà venti giorni di tempo per emettere una nuova ordinanza di custodia cautelare naturalmente su richiesta della locale Procura della Repubblica.
Le indagini da parte dei Carabinieri della locale Tenenza e del commissariato di Polizia di Fondi, agli ordini del luogotenente Emilio Mauriello e del commissario Franco Pellegrino, proseguono a ritmo serrato perché non convince per niente la ricostruzione fatta da Abdul Majid Khan (difeso dagli avvocati Mauruzio Forte e Luigi Vocella) sia nel sopralluogo a cui ha partecipato subito dopo il suo fermo che nel corso del primo interrogatorio davanti il Gip La Rosa. L’uomo, a Fondi dal 1998 ed in possesso di un regolare permesso di soggiorno, aveva dichiarato di non aver ucciso Maggiacomo: aveva soltanto ripetuto di trovarsi nella proprietà della vittima perché a bordo della sua Lancia Phedra aveva sbagliato strada. E gli inquirenti ipotizzano che Khan per eludere i controlli imposti dalle nuove disposizioni anti Coronavirus avesse deciso di non percorrere la statale Appia per andare ad Itri dove avrebbe dovuto consegnare un preventivo ad uno dei suoi tanti clienti della zona. E per incorrere in facili controlli ha preferito percorrere a bordo della sua Lancia una strada secondaria e di montagna che di fatto termina nei pressi dell’abitazione della famiglia Maggiacomo. E qui c’è stata la violentissima colluttazione i cui raccapriccianti effetti sono stati evidenziati dal medico legale nominato dalla difesa – la dottoressa Daniele Lucidi – che dalla parte civile che, attraverso l’avvocato Giulio Mastrobattista, ha nominato quale perito di fiducia, il tenente colonnello medico dell’Esercito e specialista in medicina legale Francesco Loreti Romantini.
L’immigrato, ritenuto a capo di una società impegnata attivamente nel facchinaggio e nello svolgimento di lavori nel settore agro-zootecnico, ha negato a più riprese di aver aggredito Maggiacomo che, invece, avendolo sorpreso nel suo podere di campagna, lo avrebbe minacciato di chiamare i Carabinieri. E il pakistano per garantirlo gli avrebbe consegnato una copia della sua tessera sanitaria, poi rinvenuta dalla stessa Polizia. Intanto sono emersi altri particolari. Maggiacomo, alla vista del pakistano all’interno della sua proprietà, ha chiesto al telefono l’intervento del figlio perché sollecitasse l’arrivo dei Carabinieri della tenenza di Fondi. La colluttazione c’è stata mentre era al telefono del congiunto che ha “incrociato” la Lancia Phedra, di colore oro, del pakistano in fuga mentre si recava dal padre. E’ stato tutto drammaticamente inutile. Emilio Maggiacomo non respirava già più anche è sopraggiunto. Gli inquirenti non credono alla ricostruzione del pakistano che il decesso del 69nne bracciante si stato provocato dall’investimento della Lancia con cui stava cercando di mettersi al riparo dal presunto tentativo di aggressione.
Maggiacomo sarebbe stato colpito in maniera feroce e a più riprese da un corpo contundente, rigido, stretto e lungo, forse un tondino di ferro. Intanto il legale di parte civile, l’avvocato Mastrobattista, è andato oltre. Ha ufficialmente chiesto che la Procura, quella di Latina competente per territorio su Fondi, avvii precise indagini patrimoniali sulla società e sulle quelle controllate, più o meno direttamente, dal pakistano, la cui difesa, alla luce della misura cautelare disposta dal Gip La Ros, sta valutando se proporre o meno ricorso al Tribunale del Riesame.
Saverio Forte