FORMIA – Non saranno confiscati, almeno per il momento, beni per 22 milioni nella disponibilità dell’imprenditore formiano Vincenzo Zangrillo, di 61 anni, ritenuto dagli inquirenti della Dia, vicino ad ambienti del clan dei Casalesi. Lo ha sentenziato la Corte di Cassazione che, accogliendo un ricorso proposto dalla difesa dell’imprenditore, gli avvocati Giuseppe Stellato e Pasquale Cardillo Cupo, ha annullato il provvedimento di confisca disposto il 2 marzo 2018 dal Tribunale di Latina e lo scorso maggio dalla quarta sezione della Corte di Appello di Roma. La Suprema Corte ha deciso che spetti ora ad un’altra Sezione della Corte di Appello pronunciarsi sull’istanza di confisca.
La procedura a carico di Zangrillo e dei suoi familiari sarebbe stata priva di ogni minimo elemento di fatto e di diritto per giustificare una confisca. Gli avvocati Cardillo Cupo e Stellato hanno sottolineato come a carico di Zangrillo ci fosse un abuso edilizio di venti anni fa e “fondare su questo e mere illazioni un giudizio di pericolosità significa distorcere il senso delle misure di prevenzione.” La quarta sezione della Corte d’appello lo scorso maggio aveva confermato la confisca del “tesoretto” di Zangrillo che, di fatto, aveva confermato il primo provvedimento della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Latina. Era stata accolta la proposta del direttore della Direzione investigazione antimafia che mise sotto chiave il patrimonio dell’ex carrozziere di Formia che disponeva tra Formia, Coreno Ausonio , Napoli e Isernia: 200 mezzi tra autoarticolati, autovetture, motocicli, furgoni, 150 immobili come abitazioni, uffici, opifici e magazzini, 21 ettari di terreni, 6 società, 21 conti correnti e rapporti bancari di varia natura, per un valore complessivo – come detto – di oltre 22 milioni di euro.
Zangrillo, all’epoca sottoposto anche alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per tre anni poi ridotta a due, fu “attenzionato” a più riprese dall’autorità giudiziaria, ai diversi livelli, per la sua importante ma improvvisa ed ingiustificata espansione economico-imprenditoriale non solo nel suo iniziale settore lavorativo ma anche nel trasporto merci su gomma, nel commercio all’ingrosso, nello smaltimento di rifiuti, nella locazione immobiliare e del commercio di autovetture. Le indagini della Dia di Roma avevano dimostrato il nesso tra l’espansione del suo patrimonio individuale e imprenditoriale – a fronte di redditi dichiarati da Zangrillo al fisco nettamente inferiori alle reali capacità economiche – e le attività illecite commesse nel corso degli anni per le quali fu anche arrestato. La prima conferma della sentenza di confisca era arrivata dopo la nomina da parte della Corte d’Appello di un consulente tecnico che,alla stessa stregua di quanto fece il Tribunale di Latina, aveva sottolineato la bontà e la validità delle indagini svolte all’epoca dalla Dia, la difesa di Vincenzo Zangrillo
Ora i legali di Zangrillo attenderanno di conoscere le motivazione della sentenza della Corte di Cassazione per poter sollecitare la nuova udienza in Corte di Appello nella convinzione di vedere presto restituiti alla famiglia Zangrillo i beni “ottenuti con una vita di lavoro e di sacrifici. Abbiamo atteso qualche giorno a rendere nota la decisione della Suprema Corte, anche perché non lo ritenevamo necessario dal momento sinora dopo poche ore da ogni udienza arrivava puntuale un comunicato che evidenziava il sequestro o la confisca dei beni della famiglia Zangrillo ; tuttavia con il passare dei giorni abbiamo pensato che questa volta, forse, il comunicato non sarebbe arrivato…”