MINTURNO – Mano pesante della Corte d’assise d’appello di Roma nei confronti di Eduardo Di Caprio, l’uomo di 38 anni che la sera del 25 gennaio 2019, a bordo della sua Ford Fiesta, in via Antonio Sebastiani a Scauri investì mortalmente Cristiano Campanale, di 28 anni e, subito dopo il fatto, brandendo un bastone, aggredì, ferendolo gravemente, il fratello, Andrea, di 23 anni. I giudici di secondo grado hanno confermato per Di Caprio la condanna a 16 anni e 8 mesi di reclusione emessa dal Gup del Tribunale di Cassino Salvatore Scalera al termine del rito abbreviato. E’ stata così respinta la richiesta dell’uomo, rappresentata dall’avvocato Pasquale Cardillo Cupo, che aveva chiesto la derubricazione dei reati di omicidio doloso e tentato omicidio rispettivamente in omicidio preterintenzionale e lesioni. E invece la Corte d’Assise d’appello ha accolto l’istanza del procuratore generale che al termine della sua requisitoria aveva chiesto ed ottenuto la conferma dela condanna di primo grado.
Eduardo Di Caprio agì quella sera accecato dall’ira dopo aver ricevuto – secondo quanto ribadito dalla sua difesa – alcuni messaggi whatsapp dal forte contenuto provocatorio per via di presunti sentimenti di rivalsa e gelosia legate alle rispettive attività lavorative e professionali. I legali di alcuni parte civili, l’avvocato Luca Capolino ed il dottor Riccardo Tucciarone, avevano presentato invece una memoria, il cui contenuto è stato quasi completamente condiviso dal Procuratore generale. E cioè che Di Caprio avrebbe agito con dolo e premeditazione smentendo invece la tesi dell’avvocato Cardillo che, chiedendo nuovamente l’attenuante della provocazione, non aveva escluso che Di Caprio fosse autore di una condotta estorsiva e persecutoria da parte di Campanale con la complicità di uno zio carabiniere, costituitosi parte civile insieme ad diversi altri familiari del commerciante ucciso. Questa condotta processuale dell’imputato, finalizzata a colpevolizzare la vittima, è stata fortemente censurata dall’avvocato Cupolino prima della sentenza conclusiva della Corte d’assise d’appello. Qui si è concluso il secondo round di una controversa vicenda processuale che già nel corso del dibattimento di primo grado. Il sostituto procuratore Beatrice Siravo aveva sollecitato, nonostante il rito abbreviato chiesto dalla difesa di Di Caprio, la pena all’ergastolo di Di Caprio.
A costituirsi parte civile contro l’imputato, sono stati il fratello Francesco, i genitori Mario e Maria Grazia e appunto, i due zii. I familiari della vittima, assistiti da un “pool” di legali davvero agguerrito come gli avvocati Luca Capolino, Roberto Palermo e Attilio Di Nardo avevano chiesto che nel processo di primo grado venisse coinvolta, nonostante il tipo di reato, la compagnia assicurativa dell’auto a bordo della quale si trovava Di Caprio. Ma, nonostante la citazione, la compagnia “Cattolica” con la quale appunto era assicurata l’auto dell’investitore ha declinato l’invito. L’obiettivo è stato chiaramente risarcitorio nei confronti della vittima. La difesa di Di Caprio, tuttavia, ha aveva sollecito che l’assistito venisse processato con il rito abbreviato dopo che il Gip, raccogliendo una specifica istanza della Procura di Cassino, aveva disposto il giudizio immediato, by-passando l’udienza preliminare alla luce di un quadro probatorio definito “chiaro ed evidente”.
Secondo la ricostruzione della Procura di Cassino Di Caprio alla vista dei fratelli Campanale che, lo stavano attendendo sul marciapiede all’altezza del civico 401 di via Antonio Sebastiani – di fronte l’attività commerciale di famiglia – sterzò improvvisamente verso destra. L’utilitaria, alla velocità di 40 chilometri orari, abbattè un palo della segnaletica che, cadendo, investì in pieno Campanale tanto da riportare lo “sfacelo cranico-encefalico”. Il fratello non ebbe il tempo di difendersi e di allontanarsi e l’aggressione subita dal bastone che aveva con se Di Caprio gli procurò lesioni giudicate guaribili in 15 giorni. E invece ora il pronunciamento dei giudici d’appello ha dimostrato come se fosse volontario l’investimento operato da Di Caprio, un movente che – secondo quanto ribadito dalla difesa – non è stato ancora definito dopo le indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Cassino.
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