MINTURNO – Eduardo Di Caprio non può lasciare il carcere di Cassino perchè resta concreto il pericolo di reiterazione del reato per il quale sta scontando 16 anni e 8 mesi di reclusione per l’omicidio di Cristiano Campanale, di 28 anni di Scauri, e per il grave ferimento del fratello della vittima. L’ha sentenziato la prima Corte d’assise d’appello di Roma respingendo l’istanza dell’8 marzo scorso dei legali del 39enne (gli avvocati Paolo Barone e Pasquale Cardillo Cupo) che avevano chiesto per l’uomo, munito di braccialetto elettronico, la concessione degli arresti domiciliari (presso la sorella Annunziata a Maddaloni) in attesa del pronunciamento della Corte di Cassazione.
I giudici di secondo grado, invece, hanno condiviso le osservazioni dell’avvocato Luca Capolino che nell’interesse di alcune delle persone offese aveva motivato la loro contrarietà all’attenuazione della detenzione in carcere per quella che viene definita “l’elevata intensità del dolo” con cui si consumò il delitto ripreso da un “raccapricciante filmato”. Di Caprio la sera del 25 gennaio 2019, a bordo della sua Ford Fiesta, in via Antonio Sebastiani a Scauri investì mortalmente Cristiano Campanale, di 28 anni e, subito dopo il fatto, brandendo un bastone, aggredì, ferendolo gravemente, il fratello, Andrea, di 23 anni.
La Corte d’Assise di appello ha rilevato, inoltre, come sia trascorso poco tempo rispetto all’omicidio e, comunque, “non è rilevante ai fini cautelari in rapporto alla gravità della vicenda”. La difesa dell’imputato aveva evidenziato nella richiesta per la concessione dei domiciliari il “buon comportamento carcerario”. Durissima la presa di posizione della prima sezione della corte d’Assise d’appello: “Si tratta di una condotta utile solo in futuro per il riconoscimento del beneficio della liberazione anticipata”.
In più Di Caprio, che vanta un precedente per rissa, non ha manifestato – si legge nell’ordinanza del presidente Antonio Calabria – “segni di concreto ravvedimento rispetto all’episodio omicidiario di cui si è reso protagonista”. Gli stessi giudici di secondo grado lo scorso ottobre avevano confermato per Di Caprio la condanna a 16 anni e 8 mesi di reclusione emessa dal Gup del Tribunale di Cassino Salvatore Scalera al termine del rito abbreviato.
Nella loro istanza di revoca della custodia cautelare gli avvocati Cardillo e Barone avevano ridimensionato l’accaduto: “Di Caprio con la sua condotta voleva solo intimorire Cristiano Campanale che, minacciandolo di rivelare alla moglie una sua infedeltà coniugale mostrandole dei messaggi telefonici, pretendeva di esimersi dal pagamento del prezzo di una fornitura di bevande precedentemente acquistata dall’imputato. E’ certo che la vettura investitrice percorse il tragitto tra l’incrocio di via Sebastiani con via Italo Balbo ed il punto di impatto ad una velocità decrescente da 40 a 32 km/h, e che giunta nei pressi dei due fratelli Carnpanale, deviò verso destra urtando prima contro il marciapiede, poi contro il paio del segnale di sosta vietata, che a seguito dell’impatto colpì al capo la vittima provocandone il pressoché simultaneo decesso. La volontà omicida di Di Caprio è stata definita dalla Corte in termini di dolo alternativo d’impeto: sarebbe stata dimostrata dalla deviazione del senso di marcia verso i due pedoni e dalla velocità del veicolo, che a detta del consulente del Pm, l’ingegner Pinchera, avrebbe provocato lesioni mortali anche in assenza del palo”. Insomma Andrea Campanale sarebbe deceduto ugualmente “anche se il palo metallico non lo avesse colpito ai cranio” e quella di Di Caprio fu soltanto “una bravata – la “sceriffata” fu il termine usato al Gip del Tribunale di Cassino – e l’atto compiuto fu “d’impulso, in uno stato emotivo alterato”. La difesa di Di Caprio, dunque, ha rinnovato la tesi riproposta nel giudizio di primo grado: l’imputato andava condannato con la sola accusa di omicidio preteritenzionale.
Di parere opposto quello di uno dei legali di parte civile, l’avvocato Luca Capolino:” Esprimo profonda soddisfazione nell’apprendere la decisione della Corte di Assise di Appello di Roma, che ha riconosciuto in pieno la validità della linea difensiva avanzata nell’interesse dei miei assistiti ma, soprattutto, della memoria del compianto Cristiano. La Corte infatti ha riconosciuto la spiccata indole criminale di Di Caprio, già condannato in passato per altri reati violenti, della quale l’omicidio di Cristiano ed il tentato omicidio del fratello costituiscono un preoccupante climax. Come da sempre sostenuto da questa difesa, la vile aggressione perpetrata ai danni di uno dei fratelli Campanale, in stato di shock davanti al corpo esanime del fratello, conferma l’intensità della volontà criminale ed omicidiaria di Di Caprio, che non si è fermato neppure di fronte al cadavere di chi egli stesso qualificava come amico”.