CASSINO – Se non è un record, poco ci manca. Terminerà domani davanti la Corte d’Assise del Tribunale di Cassino un’attesa di 21 anni, un mese e 14 giorni…per individuare i possibili autori e anche il movente dell’omicidio di Serena Mollicone. Dopo un dibattimento iniziato il 21 marzo 2021 e durato oltre cinquanta udienze venerdì calerà il sipario sul processo su uno dei misteri d’Italia degli ultimi decenni: la scomparsa e l’uccisione della studentessa di Arce.
Il programma prevede alle 10 la conclusione delle controrepliche della difesa dei tre principali imputati, Franco, Marco e Annamaria Mottola, che effettuerà uno dei quattro componenti del nutrito collegio difensivo, l’avvocato Francesco Germani. Successivamente la Corte d’Assise del tribunale di piazza Labriola – composta dal presidente Massimo Capurso, dal giudice a latere Vittoria Sodani e dai nove giudici popolari – si riunirà in camera di consiglio per emettere la sentenza prevista in serata.
Le richieste di condanna avanzate dai Sostituti procuratori Maria Beatrice Siravo e Carmen Fusco sono state pesanti: 30 anni di carcere per l’ex comandante della Stazione dei Carabinieri, 24 per il figlio Marco – ritenuto l’autore materiale del delitto – 21 per la moglie Annamaria, tutti imputati per omicidio volontario, e, ancora, 15 anni per il maresciallo Vincenzo Quatrale – del cui iniziale capo d’imputazione riguardante l’istigazione al suicidio di Santino Tuzi è stato chiesta la riqualificazione in omicido colposo, reato peraltro prescritto – e 4 anni con l’accusa di favoreggiamento per l’ex appuntato Francesco Suprano.
L’istanza di condanna della Procura è stata naturalmente condivisa dalle numerose parte civili – Armida, Consuelo, Antonio e Guglielmo Mollicone, la famiglia del brigadiere Tuzi e l’avvocatura dello Stato – che hanno chiesto cinque milioni di euro di risarcimento danni per i tre componenti della famiglia Mottola e per il luogotenente Quatrale e 100 mila per l’appuntato Francesco Suprano.
La Camera di consiglio di venerdì dovrà valutare anche gli elementi proposti a suo favore dalle difese dei cinque imputati. La Procura non è riuscita a definire il movente del delitto e ad accertare con scientificità se lo stesso sia o meno avvenuto nella caserma di Arce il 1 giugno 2001. La porta rotta del bagno dell’alloggio non è l’arma dell’omicidio, non sono state trovate nella caserma tracce di Serena e dei cinque imputati, gli ordini di servizio di quel giorno possono essere stati incompleti ma non falsi e, poi, le dichirazioni rese da Tuzi prima del suicidio l’11 marzo 2008, oltre ad essere state tardive, sono state – secondo le difese – definite inattendibili dalla stessa Procura nel 2015.