CASSINO – Undici ore di camera di consiglio per emettere una sentenza a 124 anni e mezzo complessivi di reclusione, tre in più rispetto alla richiesta formulata dai Pm delegati della Direzione Distrettuale antimafia di Roma. Con questo bilancio è terminato martedì notte, quando mancavano dieci minuti alla mezzanotte, il processo di primo grado davanti il Tribunale penale di Cassino nell’ambito di “Anni 2000”, una delle più importanti operazioni anti camorra degli ultimi anni culminata il 25 gennaio 2021 con l’arresto da parte dei Carabinieri del Comando provinciale di Latina e della Compagnia di Formia di 25 persone con le accuse, a vario titolo, di detenzione illegale di armi, rapina, danneggiamento, associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, incendio ed estorsione ai danni di alcuni imprenditori impegnati soprattutto sul territorio di Castelforte, Santi Cosma e Damiano e Minturno.
Se i Pm delegati dalla Dda, i sostituti procuratori Alfredo Mattei ed Emanuele De Franco, al termine della loro requisitoria, avevano chiesto 121 anni di carcere, il collegio giudicante ( (presidente Tania Tavolieri, a latere Martina Di Fonzo e Antonio Gavino Falchi Delitala) ha condannato a 124 anni e mezzo di reclusione complessivamente le 18 persone che hanno scelto di essere giudicate con il rito ordinario. La pena più pesante è stata inferta al presunto vertice di questo organizzazione, Decoroso Antinozzi, condannato a 16 anni e 4 anni di carcere.
Le altre condanne per le quali è stato comunque escluso il vincolo mafioso: Maurizio ed Ettore Mendico a 14 anni e dieci mesi e a 13 anni e 9 mesi; Adolfo Pandolfo ad 8 anni e 9 mesi; Eduardo Parente ad 8 anni e 4 mesi; Ciro Bonifacio ad 8 anni ed un mese; Antonio Reale a 8 anni; Francesco Parente e Pierluigi Mendico a 7 anni e quattro mesi; Fabio Buonamano a 7 anni e Maria Carmina Messore a 6 anni e 9 mesi di reclusione.
Più lievi – si fa per dire – le altre condanne: Armando Puoti (4 anni), Alessandra Forcina e Sergio Cozzolino (tre anni e mezzo), Giuseppe Sola (2 anni e 4 mesi), Luigi Parente e Carla Tomao (un anno e quattro mesi di carcere a testa).
Il Tribunale di Cassino per alcuni capi d’imputazione ha assolto per non aver commesso il fatto Salvatore Di Franco, Marco Di Viccaro, Eduardo Parente e Pierluigi Mendico mentre, sempre per alcune ipotesi di reato, ha deciso di non doversi procedere per l’avvenuta prescrizione nei confronti di Antinozzi, Forcina e Cozzolino.
Il presidente Tavolieri ha impiegato quasi dieci minuti per leggere l’articolata sentenza di condanna con cui ha disposto nei confronti di alcuni imputati (Decoroso, Cozzolino, Messore, Forcina, Pandolfo, Puoti e Reale) di dover risarcire l’associazione anti mafia “Antonio Caponnetto” ed un cementificio della zona che vittima di un attentato chiaramente a scopo estorsivo che si era costituita parte civile attraverso l’avvocato Barbara Schiavi.
Lo stesso Tribunale di Cassino si è riservato 90 giorni di tempo per depositare le motivazioni, ora molto attese dal nutrito collegio difensivo (composto dagli avvocati Enrico Mastantuono, Massimo Signore, Francesco Ferraro, Pasqualino Santamaria, Roberto Palermo, Enzo Biasillo, Camillo Irace, Anna Marciano, Pasquale Cardillo Cupo e Piergiorgio Di Giuseppe) che in mattinata, prima dell’inizio della camera di consiglio, nelle controrepliche al Pm Mattei aveva tentato di ridimensionare il vincolo associativo e aveva chiesto, di fatto, derubricare il narcotraffico in semplice spaccio. Le difese, in ordine poi alle estorsioni, hanno ipotizzato eventualmente il favoreggiamento dei rispettivi assisti censurando l’inattendibilità delle dichiarazioni di alcuni testi al punto da chiedere l’invio delle singole posizioni alla Procura per perseguirli con l’ipotesi di reato di falsa testimonianza.
Il più battagliero dei legali difensori si è rivelato essere l’avvocato Enrico Mastantuono: “In considerazioni delle contestazioni operate dalla Procura fondate su un fiume di intercettazioni ed ambientali mi ritengo comunque soddisfatto del lavoro svolto pur non condividendo le condanne emesse dal Tribunale di Cassino. Dall’incrocio dei dati investigativi con quelli dibattimentali sul piano logico-giuridico è emersa una non sussistenza dell’ipotesi associativa. “Anni 2000”è rivelata essere la rivisitazione forzata del processo “Anni 90”. Purtroppo non si possono emettere condanne in base a ciò che è stato …20 anni fa… Mi riservo di leggere le motivazioni ai fini della proposizione dell’appello”.
In effetti le richieste dei Pm di piazza Labriola avevano risentito di una sorta di bilanciamento tra le aggravanti contestate dai Pm delegati dalla Dda e le attenuanti emerse dal dibattimento sulla scorta dell’esame e del controesame di alcuni testimoni e, inoltre, dal principio della cosiddetta continuazione.
L’operazione “Anni 2000” aveva già registrato un primo responso processuale davanti il Gip del Tribunale di Roma davanti al quale sette degli indagati arrestati dai Carabinieri avevano deciso di farsi giudicare scegliendo il rito abbreviato. Le condanne furono, nonostante lo sconto di un terzo della pena, molto alte e sono ora al vaglio dei giudici d’appello.