GAETA – “La verità, tutta la verità, nient’altro che la verità”. Vorrebbero conoscerla gli operai della Pozzi Ginori, smarriti davanti ai continui annunci di ridimensionamento dei volumi produttivi. Il passaggio al colosso svizzero Geberit dell’intero gruppo Sanitec, società controllante lo stabilimento di Gaeta, avrebbe dovuto arrestare la caduta libera occupazionale ed invece, se verrà ratificato giovedì presso la Regione Lazio l’accordo raggiunto tra la direzione aziendale ed i tre sindacati confederali, la cassa integrazione potrebbe schizzare fino ad un massimo di 200 unità lavorative.
Ma non tutti i sindacati si riconoscono nel nuovo piano. Se la posizione di Ugl e Cisal, da sempre critici sulla gestione della crisi, sarà resa nota nei prossimi giorni, l’Unione Sindacale di Base ha rotto gli indugi manifestando il proprio dissenso. Lunedì pomeriggio, presso la sede del partito di rifondazione comunista di via Indipendenza, si è tenuta l’assemblea degli iscritti all’Usb, alla presenza del rappresentante della federazione Usb di Formia Maurizio Acquaviva, del portavoce rsa usb Davide Tomei e del segretario di prc Gaeta Benedetto Crocco.
“Ci era stato detto – esordisce Maurizio Acquaviva – che con l’arrivo di Geberit gli esuberi si sarebbero risolti e finalmente ci sarebbe stato ossigeno. Oggi però l’assenza di un piano industriale serio dovrebbe sconvolgere i sindacati”.
L’azienda ha presentato un piano d’investimenti per 2,5 milioni di euro entro il 2017, di cui almeno 1,25 entro i primi 24 mesi di cassa integrazione straordinaria. Secondo l’accordo le risorse investite dovrebbero servire a produrre “pezzi speciali o complessi”.
“Se, come ci risulta – spiegano i rappresentanti sindacali Usb – la spesa energetica dello stabilimento è pari a 3,6 milioni di euro ed i pezzi prodotti sono 360.000, vuol dire che mediamente un pezzo ha un costo energetico altissimo, pari a 10 euro. Altro spreco è nello scarto dei pezzi, circa il 40%. Invece di incidere su questi costi si è deciso di puntare sulla ristrutturazione del forno 3, l’unico in grado di fare “cottura” e “ricottura”, gli altri sono accesi solo in maniera intermittente. Si tratta di un forno molto vecchio. Una volta spento cosa succederà? Spaventa non si conoscano i tempi per la ripartenza”.
Attualmente in Pozzi Ginori lavorano 345 dipendenti e 45 sono in cassa integrazione, fuori dal ciclo produttivo. Se passasse l’accordo i lavoratori potrebbero dimezzarsi, anche perché l’azienda, oltre alla cassa integrazione, punta esplicitamente a diminuire la forza lavoro attraverso la mobilità ed accordi individuali.
“Abbiamo sopportato assistito ad un’attività antisindacale da parte della proprietà – insistono i rappresentanti sindacali – ed oggi ci domandiamo se sia possibile che un’azienda investa per dismettere. Il fenomeno non sarebbe nuovo. In altre fabbriche è già avvenuto attraverso l’accettazione di piani da parte di sindacati debolissimi”. Di qui la richiesta ufficiale di un incontro alla dirigenza della Pozzi Ginori, consegnato proprio in queste ore.
“Non ci meraviglierebbe affatto se una multinazionale, arrivata un un territorio come questo – riflette Benedetto Crocco – decidesse di smantellare e magari di trasformare le attività in funzione del porto. Invece di continuare con i tavoli separati tra datori di lavoro e rispettive maestranze, credo che sia arrivato il momento di creare un coordinamento sindacale di lotta tra i lavoratori di tutte le realtà che stanno per chiudere o che hanno già chiuso”.