Formia / Inaugurazione “Villa di Mamurra”, la velenosa polemica sollevata dall’architetto Salvatore Ciccone

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FORMIA – Giove Pluvio permettendo – l’ultima allerta di color arancione dovrebbe provocare il rinvio dell’evento – è prevista martedì 22 novembre, alle ore 12.30 presso l’area archeologica di Giànola a Formia, l’inaugurazione dell’edificio ottagonale rinvenuto nella villa di tarda epoca repubblicana, la cosiddetta “Villa di Mamurra”, che sarà appartenuta al cavaliere romano originario di Formia che fu il “praefectus fabrum” (prefetto degli ingegneri) al seguito di Gaio Giulio Cesare nella guerra in Gallia. L’evento dovrebbe svolgersi alla presenza del presidente vicario della Regione Lazio Daniele Leodori e del presidente dell’ente Parco Regionale Riviera di Ulisse Carmela Cassetta ma è stata accompagnata nelle ultime ore da una velenosa polemica sollevata dall’architetto Salvatore Ciccone, uno dei primi tecnici incaricati dalla Soprintendenza ai beni archeologici del Lazio, insieme all’ingegner Orlando Giovannone (svolse gli incarichi di progettista e di direttore dei Lavori), nella prima campagna di scavi resa possibile da un finanziamento europeo di un milione di euro.

Qualcosa è cambiato e l’architetto Ciccone, che non andrà “assolutamente” all’inaugurazione, ricorda cosa prevedeva il piano di recupero di questo sito archeologico che si estende su un’area di 9 ettari: “Ci chiesero di provvedere allo scavo dell’edificio ottagono e alla copertura provvisoria per continuare le indagini. Ci furono due varianti imposte dalla Soprintendenza che giustamente non ci faceva piantare un chiodo. Ora la stessa Soprintendenza con oltre 800mila euro del Ministero – attacca Ciccone – ha sostituito la prima copertura con un’altra definitiva imperniata sui ruderi, eliminando la possibilità di scavare e stendendo per duecento metri lineari di viali in calcestruzzo su suolo archeologico. Oltre ad deturpare l’ambiente si impedisce di fatto di accedere a scavi.- ha concluso Ciccone – Ma sarà il pubblico a giudicare questo danno al parco Riviera di Ulisse e all’erario”.

L’attiva presidente del Parco Regionale Riviera di Ulisse, Carmela Cassetta, ha deciso di indossare i panni del pompiere per spegnere facili polemiche, convinta che l’ente ha messo soltanto a disposizione della Soprintendenza un’area di sua proprietà sul Promontorio di Gianola. “Giunge a compimento un’importante azione di tutela e valorizzazione, oggetto di estese e pluriennali campagne di scavo e interventi di restauro, seguite a quelle già condotte da Parco, a cura della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Frosinone e Latina che desidero ringraziare per l’eccellente lavoro svolto. La parte pienamente fruibile dell’area archeologica di Giànola viene così ad essere ampliata e- ha affermato la presidente Cassetta – riapre al pubblico in un rinnovato percorso di visita”.

La villa di Mamurra, che sorgeva a pochi metri dal mare, si estendeva in due ampi settori, lunghi alcune centinaia di metri. Il corpo principale era di forma ottagonale, e risultava affiancato dai due bracci, con due grandi cisterne per la raccolta e conservazione delle acque e da due portici che “scendevano” verso il mare. La struttura a pianta ottagonale, che costituiva “cuore” del complesso, è conosciuto anche come Tempio di Giano. La scala coperta che si può ancora ammirare oggi, serviva a collegare i due portici. Le due “piscinae” ospitavano gli allevamenti ittici della Viulla, successivamente adattato a porticciolo nella prima metà del XX secolo. L’intero complesso della villa, tuttavia, fu riscoperto e studiato a partire dal settecento. Nella stessa occasione fu redatta una relazione, “a noi pervenuta, nella quale è possibile ricostruire lo stato di conservazione dello stabile all’epoca”.

Oggi della villa restano diversi ambienti posti in modo discontinuo lungo un tratto di costa di oltre 200 metri. Il visitatore può ammirare due cisterne che servivano per raccogliere sia l’acqua piovana che quella proveniente da qualche sorgente oggi scomparsa. L’edificio Ottagono è stato il principale intervento di restauro conservativo unitamente all’accessibilità dei nuovi percorsi. La Presidente del Parco Carmela Cassetta ha preannunciato come l’evento di inaugurazione di martedì sarà l’occasione per l’avvio di un protocollo d’intesa tra la Soprintendenza e Direzione regionale Polo Museale finalizzato a un progetto di valorizzazione che prevede l’inserimento dell’area archeologica di Gianola e dei suoi percorsi didattici nella “rete” di conoscenza del territorio”.

Per la presidente Cassetta l’inagurazione della Villa di Mamurra costituisce “un’importante riappropriazione del passato, per un futuro più consapevole” e non a caso l’ente parco ha deciso che sino al 31 gennaio 2023, nelle giornate di venerdì e sabato, gli istituti scolastici del comprensorio potranno effettuare visite guidate di gruppo al sito inviando una richiesta alla mail istituzionale parcorivieradiulisse@regione.lazio.it. Le prime fasi di questa importante campagna di scavi sono state ricordate e illustrate dal progettista e direttore dei lavori Salvatore Ciccone, poi non confermato dalla Soprintendenza ai beni archeologici del Lazio.

“Dopo le opere di decespugliamento, facendo attenzione a non compromettere ulteriormente i ruderi e alla contestuale recinzione dell’area di cantiere per scongiurare compromissioni e incidenti da parte di intrusi, si dette via all’opera di scavo nella parte dell’edificio rivolta al mare, dove si sarebbe dovuto apprestare un passaggio per una gru su gomma a braccio telescopico. Sfortuna e fortuna insieme: fortuna perché subito emersero i primi significativi reperti consistenti in teste ritratto marmoree, ben cinque con in più frammenti di altre; sfortuna perché non si poté usufruire di quel mezzo d’opera fondamentale al sollevamento di più ingenti frammenti murari, dovendo variare il progetto avvalendosi della sola gru a torre con braccio fisso, peraltro indispensabile per svariate movimentazioni di cantiere. Quindi, mentre verso mare si procedeva allo scavo del collegamento dell’edificio alla villa con continui affioramenti di reperti scultorei, dal lato occidentale si penetrava – osserva ora Ciccone – verso l’interno alla sala ottagona centrale con la rimozione di massi murari. Qui si ebbe la sorpresa nel constatare che il pavimento di quella sala era rialzato rispetto a quello circostante. Si rinvennero inoltre il pilastro centrale abbattuto, i frammenti della volta con il mosaico a stelle descritta da Mattej insieme alla vasca, quest’ultima anelata per ciò che si immaginava e che si dimostrò: un invaso di presa di una sorgente che sgorgava a motivo dell’edificio”.

“In questo scavo l’abside della stanza posta centralmente sul lato del perimetro si scoprì collassata su sé stessa e questo richiese subito un’opera di puntellamento che non fosse troppo invasiva del risicato spazio scavato. Si procedette quindi con una specifica struttura in acciaio consistente in una cerchiatura sagomata alla struttura muraria alla quale si congiungevano dei sostegni inclinati poggiati a terra su plinti in cemento armato, ovviamente separando il congegno dalle parti antiche con speciali teli; inoltre sul dorso dell’abside si reintegrò la muratura dove si presentava aperta una finestra, preservandone il documento. Questo intervento si allineava sulla logica a base del progetto di copertura, cioè quello di impiantare una struttura a tubi e nodi, zincati a caldo contro l’ossidazione, che fosse provvisoria nel concezione, ma più solida e duratura nell’estensione dei tempi di successivi interventi di scavo, pertanto adatta ad un cantiere visitabile come concordato con la Soprintendenza. Per questo, alla necessità di un vincolo a terra staticamente sicuro, si poneva il problema dei forti venti del luogo, per la qual cosa gli appoggi dovevano assumere la caratteristica di plinti-zavorre” – aggiunge Cicione. 

Ed ancora: “In ciò venne prioritariamente escluso per congruità progettuale e per inderogabile disposizione ministeriale, l’ancoraggio diretto su porzione strutturali abbattute o sul suolo roccioso affiorante all’interno dell’edificio, che ne avrebbe comportato la perforazione per l’inserimento di barre di acciaio filettato di fissaggio: un atto lesivo riguardo alle antiche strutture e problematico nei prospettabili interventi. Fu così che furono posti in opera questi plinti cementizi che, sebbene a vista, furono resi distintivi nella loro forma cilindrica, comunque facilmente rimovibili dal contesto archeologico, come infatti è avvenuto nei lavori eseguiti direttamente dalla stessa Soprintendenza dal 2020. La copertura della parte scavata scongiurava l’accumulo di acqua meteorica nell’ammasso ruderale e insieme una forte concentrazione di calore, combinazione sfavorevole alla conservazione di già indebolite murature. Per lo stesso motivo la parte preponderante non scavata, venne ripianata con terra di scavo e quindi protetta con uno speciale telo impermeabile traspirante, poggiato su uno strato devitalizzante e poi sottoposto ad uno di lapillo vulcanico, drenante e di ancoraggio. Così si assicurava, pur sempre con una ricognizione e manutenzione periodici, la protezione dagli agenti naturali interconnessi, quali piogge, insolazione, salsedine, vegetazione, qui molto aggressivi”.

Intanto presso l’Istituto Centrale per il Restauro di Roma si procedette alla cura di parte dei reperti marmorei che sono stati poi oggetto di una specifica mostra nello stesso luogo, per poi essere in seguito esposti presso il Museo Archeologico Nazionale di Formia. “Si tratta una nuova attestazione della storia di questa città che preludeva ad un perdurato impegno di ricerca e ad un avveduto recupero di quella originalissima villa di Giànola.” Così, a quanto pare, non sarebbe poi stato.