Cassino / Omicidio Mollicone, la difesa degli imputati: “dimostrata fallacia di impianto accusatorio”

CASSINO – Duecentotrentasei pagine per ribadire come siano rimasti ignoti i suoi autori e come ci sia un’altra verità sul delitto di Serena Mollicone, la studentessa di Arce uccisa il 1 giugno 2001 e trovata senza cadavere due giorni più tardi nel boschetto di Fonte Cupa. Lo scrivono i giudici, togati e popolari, della Corte d’Assise del Tribunale di Cassino depositando, dopo due rinvii, le motivazioni della sentenza con cui furono assolti per insufficienza di prove e per non aver commesso il fatto l’ex comandante della Caserma dei Carabinieri di Arce, Franco Mottola, il figlio Marco e la moglie Annamaria e, ancora, il luogotenente Vincenzo Quatrale e l’appuntato Francesco Suprano. Per la Corte d’Assise la loro assoluzione,avvenuta il 15 luglio 2022, fu inevitabile perché “gli esiti dibattimentali non hanno offerto indizi gravi, precisi e concordanti sulla base dei quali possa ritenersi provata, oltre ogni ragionevole dubbio, la commissione in concorso della condotta omicidiaria di Serena”.

Per il Tribunale di Cassino “non sono stati’ provati molti degli ”asseriti depistaggi che – secondo l’accusa – il maresciallo Franco Mottola avrebbe compiuto in occasioni delle prime indagini”. Dallo stesso dibattimento ”sono emerse delle prove che si pongono in termini contrastanti rispetto alla ricostruzione dei fatti da parte della pubblica accusa”. A cominciare dagli ordini di servizio redatti a carico dei Carabinieri presenti il giorno del delitto nella Caserma di Arce che per la Procura furono falsificati per far localizzare altrove il luogo del delitto. Per il Tribunale “non solo non è stata provata la falsità ma sono emersi numerosi elementi probatori di segno contrario, che inducono a ritenere, sulla base delle risultanze e valutazioni già svolte, che i servizi esterni siano stati effettuati dagli stessi Carabinieri”.

Uno dei depistaggi ha sempre riguardato il compianto padre di Serena, Guglielmo, che fu prelevato da Franco Mottola durante i funerali della figlia. A pagina 32 della sentenza si legge come fosse stato l’ex comandante della Compagnia dei Carabinieri di Pontecorvo Gianluca Trombetti, su ordine della Procura, ad autorizzare a prelevare il maestro Guglielmo durante la veglia funebre.

E poi era Serena la mattina del 1 giugno davanti il Bar Chioppetelle? Per i giudici (pagina 48) quella ragazza era Katia Abballe quella vista da Simonetta Bianchi che era sì accompagnata da un ragazzo – pagina 50 – “ma non era Marco Mottola”.

A proposito sempre di depistaggi si è sempre parlato del misterioso rinvenimento del telefonino di Serena in un cassetto della sua camera da letto. Nelle motivazioni si legge a pagina 52 come il cellulare “non si può escludere che sia stato inavvertitamente spostato”. Sostanzialmente la corte pensa che quel telefono sia sempre rimasto in camera ma non sia stato visto “considerato lo stato confusionale e di shock in cui si trovavano i familiari di Serena”. I giudici poi non escludono (pagina 54) che Serena negli anni precedenti alla sua morte abbia fatto occasionalmente uso di hashish e “si può dunque ragionevolmente desumere che l’hashish rinvenuto all’esito della perquisizione citata fosse di Serena” (pag. 54). Il movente dell’omicidio è sempre stato ipotizzato un tentativo di Marco Mottola di silenziare Serena che avrebbe voluto denunciare come spacciatore. La conclusione del Tribunale a pagina 56 delle motivazioni della sentenza: “Non risulta provato che Marco Mottola in quel periodo fosse dedito all’attività di spaccio” (pag. 56).

Ma il Maresciallo Mottola ha contribuito o no alla ricerca di Serena. Nelle motivazioni della sentenza viene ricordato come l’ufficiale originario di Teano (Ce) la mattina del primo giugno 2001, dopo essere tornato dalle prove per la festa provinciale dell’Arma di Frosinone, si trovasse in caserma per compiere “attività ordinaria” e, in particolare, per consegnare un documento a Pasquale Simone” (pag. 100). Il 1 giugno la stazione di Arce si è “effettivamente a attivamente attivata per le ricerche di serena” (pag. 104) e Mottola alla mezzanotte e 43 del 2 giugno era all’interno della caserma e eseguì una chiamata a Guglielmo Mollicone: non può aver trasportato il cadavere (pag. 107).

In questa tragica e irrisolta vicenda si è inserito il suicidio il 9 aprile 2008 del brigadiere dei Carabinieri di Sora Santino Tuzi che si tolse la vita con la sua pistola d’ordinanza alla vigilia dell’interrogatorio bis in Procura con cui avrebbero dovuto confermare la circostanza di aver visto sette anni prima, in qualità di piantone, Serena entrare nella caserma di Arce. Per la Corte d’Assise le dichiarazioni rese dal militare sono state “inattendibili ed imprecise”, il che lascia immaginare che quel giorno del 1 giugno 2001 Serena non sarebbe mai entrata nella Caserma di Arce.

Santino Tuzi “tentò in qualche modo di accomodare le sue dichiarazioni a quelle degli altri” inquirenti (pag. 117), fu “tartassato e minacciato” dal successore di Mottola, il maresciallo Evangelista (pag. 121 sentenza) e precipitò in una “trappola mentale” come se dovesse assecondare gli inquirenti (pag. 125). Con una conclusione eloquente: è stato definito “grossolano” il verbale di sit scritto dagli inquirenti rispetto alla vera volontà dichiarativa di Tuzi.

E poi la porta del bagno dell’alloggio sfitto non sarebbe stata l’arma del delitto e tantomeno Marco Mottola, il figlio dell’ex Comandante di Arce, non avrebbe avuto – come detto – alcun movente per uccidere la sua amica studentessa. Serena, poi, non è stata uccisa nella tarda mattina del 1 giugno 2001 come sempre asserito dalla Procura ma da una o più persone rimaste senza none, addirittura più avanti nel tempo, tra la tarda serata di quel giorno e le 24 ore successive . Come? Con un colpo in testa e con la successiva ostruzione delle vie aree e la chiusura del capo con un sacchetto di plastica. Venne utilizzato un nastro adesivo sul quale, però, non sono state trovate impronte dei cinque imputati”.

”Gli esiti delle consulenze medico legali e della consulenza etnomologico-forense della dottoressa Magni hanno inoltre determinato diverse conclusioni rispetto a quanto sostenuto e contestato nel capo di imputazione in esame in ordine all’individuazione dell’epoca della morte di Serena; l’ipotesi più ragionevole, in quanto sorretta da evidenze scientifiche, è infatti che Serena sia morta nella notte tra il 1 giugno 2001 e il 2 giugno e che l’ovideposizione delle larve sul suo corpo sia avvenuta all’albeggiare del 2 – si legge ancora nella sentenza – ‘Tanto posto, anche ammesso che Serena possa aver perso conoscenza per un lungo periodo di tempo (ipotesi esclusa da alcuni consulenti medico-legali), appare difficile ipotizzare che la stessa, dopo aver subito il trauma al capo intorno alle 11 di mattina, come sostenuto dal Pm, sia stata tenuta dagli imputati in tale stato sino alla notte, presso uno degli alloggi della caserma a loro disposizione, con il duplice rischio che la medesima potesse riprendersi e, soprattutto, che qualcuno venisse a cercarla”.

I giudici aggiungono che ”non possono essere del tutto escluse ipotesi alternative in ordine alle modalità con cui sia stata provocata l’asfissia e che solo post mortem il volto sia stato avvolto con il nastro adesivo rinvenuto”. Le ”impronte dattiloscopiche” rinvenute ”all’interno dei nastri adesivi che legavano le mani e le gambe di Serena” sono ”ritenute utili per l’identificazione” – come detto – ”non appartengono agli imputati”. ”Su un’impronta” in particolare, scrivono i giudici, ”risulta inoltre essere stato rinvenuto un profilo genetico misto con contribuente maschile, di cui è stata esclusa la paternità degli imputati”.

”Ulteriormente, si deve rilevare il rinvenimento sui pantaloni e sugli scarponcini di Serena di tracce di Lantanio e Cerio, riconducibili a una polvere a base di ossidi di cerio, utilizzata come polish, con cui la stessa dovrebbe essere venuta in contatto quando era già in posizione supina, così assumendo una connotazione indiziaria particolarmente rilevante nella ricostruzione della dinamica delittuosa.

”Vale la pena osservare – scrivono ancora i giudici – come secondo la consulenza merceologica effettuata il polish è un prodotto che viene in specie impiegato nell’ambito dell’edilizia per la lucidatura di marmi, vetri e specchi posti in opera e nelle carrozzerie per l’eliminazione di graffi da parabrezza e fari. Contesti rispetto ai quali non è stato provato alcun collegamento con gli imputati”.

Sarà molto importante ora registrare le reazioni delle numerose parti civile e della Procura di Cassino che, subito dopo l’assoluzione dei cinque imputati, aveva annunciato la volontà di proporre ricorso in Appello. Intanto hanno deciso di parlare i legali del collegio difeso (gli avvocati Mauro Marsella, Piergiorgio Di Giuseppe, Franco Germani, Francesco Candido, Cinzia Mancini ed Emiliano Germani) che, coordinati dal criminologo Carmelo Lavorino, terrano martedì mattina, alle 11.30 presso il palazzo della Cultura di Cassino un’attesa conferenza stampa. Qualche anticipazione l’hanno resa nota subito dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza:

“Ricordiamo che solo grazie a noi della difesa degli imputati è stato possibile togliere il disonore e lavare l’onta scagliati contro la Benemerita, contro il Comune di Arce e contro la Verità. Grazie a noi perché – hanno osservato – abbiamo dimostrato la fallacia di un impianto accusatorio basato su illazioni senza prove, su dicerie e pettegolezzi, su errori logici, sul nulla, su fissazioni investigative sviluppatesi in progressione sulla filiera del sospetto e del brocardo “il Re è nudo ma non si dice”. Grazie a noi sono stati evitati cinque orrori-errori: 1) la condanna di innocenti (Carmine Belli prima, i cinque imputati dopo); 2) un’ulteriore offesa alla memoria di Serena Mollicone e dei suoi familiari che cercano giustizia e verità; 3) il macabro ed allucinante premio dell’impunità al vero assassino; 4) il deviato e ignobile riconoscimento a qualcuno (esterno al mondo giudiziario-investigativo istituzionale) che ha tramato per oscuri motivi contro la Logica, il Diritto e la Scienza; 5) la vittoria di ipotesi sbagliate propalate ed esaltate da cacciatori col carniere vuoto di vanagloria e di facili successi”.

 

(In copertina, immagine di repertorio)

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