ARCE – Sessantaquattro pagine per chiedere un nuovo processo d’appello per Franco, Marco e Annamaria Mottola relativamente alla scomparsa e all’omicidio, avvenuti il 1 giugno 2001, di Serena Mollicone. Le hanno sottoscritte e depositate in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne il Procuratore generale Giuseppe Amato ed il sostituto procuratore generale Deborah Landolfi per impugnare davanti la Corte di Cassazione la sentenza con cui il 12 luglio scorso la prima sezione della Corte d’Assise d’appello aveva invece confermato la sentenza d’assoluzione del Tribunale di Cassino non solo per i tre componenti della famiglia Mottola ma anche per gli ex Carabinieri in servizio presso la Caserma di Arce nel giugno di 23 anni da, Vincenzo Quatrale e Francesco Suprano. Il Procuratore generale Amato dunque ha mantenuto fede ad una promessa fatta il 4 novembre scorso quando , in occasione di una visita presso gli uffici della Procura della Repubblica di Cassino, aveva annunciato la volontà di impugnare davanti la Suprema Corte la sentenza bis di assoluzione del 12 luglio scorso. Ma questa volta Amato e Landolfi chiedono un nuovo processo d’appello esclusivamente per Franco, Marco e Annamaria Mottola da celebrare davanti ad una sezione diversa rispetto a quella che ha decretato la loro estraneità al delitto della 18enne studentessa di Arce.
Per i due rappresentanti della pubblica accusa con la sentenza di assoluzione di assoluzione il giudice d’appello “è in incorso in una serie di carenze motivazionali “ e quella che ha reso “è solo apparente, non argomentata da quegli elementi di prova che, nonostante tutto, sono emersi nel processo di secondo grado”. E la procura generale li elenca nelle 64 pagine dell’appello: l’attendibilità del brigadiere, poi suicida, Santino Tuzi di aver visto Serena entrare nella caserma dei Carabinieri di Arce la mattina del suo delitto, i falsi ordine di servizio costruiti ad arte nelle prime fasi delle indagini, il falso alibi di Marco Mottola ed il litigio tra quest’ultimo e Serena la mattina dell’omicidio presso il bar Chioppettelle. Per la Procura generale il movente del delitto vada definito in questo momento: i due ragazzi litigano e Serena esterna il suo orientamento di denunciare ai Carabinieri il figlio del comandante di Arce perché implicato in un giro di spaccio.
Per la Procura generale va rifatto un nuovo processo di secondo grado perché la Corte d’Assise d’appello non ha dato credito alle dichiarazioni rese dalla testimone Sonia Da Fonseca circa la “genuinità” delle confessioni del Brigadiere Tuzi (“alle sue dichiarazioni la Corte attribuisce una intrinseca attendibilità, corroborata dal rilievo che le stesse dichiarazioni forniscono un tassello rilevante per la ricostruzione della vicenda”) e non ha ritenuto opportuno ammettere, in quest’ottica, la testimonianza del Maresciallo Tersigni circa la veridicità delle dichiarazioni rese dal Carabiniere di Sora, morto suicida l’8 aprile 2008. Per Amato e Landolfi La Corte ha dato atto delle “reticenze su una circostanza fondamentale, la causa del danneggiamento della porta dell’alloggio sfitto della Caserma di Arce, che tutti e tre i Mottola, – incorrendo in contraddizioni intrinseche tra loro – attribuiscono ad un pugno sferrato per rabbia dal maresciallo, versione smentita clamorosamente dagli accertamenti tecnici dell’Ingegnere Sala che ha dimostrato l’incompatibilità con buco sulla porta per forma e dimensioni. Ciò nonostante, la Corte non ha valutato tale comportamento a carico degli imputai ma lo ‘neutralizza’ in modo immotivato e assertivo”.
Un’altra critica la Procura generale la rivolge alla Corte d’assise d’appello anche per l’”assenza di giudizio formulato sulle risultanze delle varie consulenze tecniche proposte dal pubblico ministero. La Corte le ritiene plausibili ma anche recessive rispetto alla tesi proposta dai consulenti della difesa che – si legge ancora nell’appello in Cassazione – non forniscono alcuna obiettiva ricostruzione alternativa dei fatti”. L’appello della Procura generale è condensato da una serie di rilievi sulla sentenza dei giudici di secondo grado: “La mancanza di valutazione degli argomenti portati dall’accusa e, in alcuni casi, la mancanza di valutazione tout court risulta evidente ove si consideri che il giudice, pur riconoscendo la valenza accusatoria degli elementi – non solo dichiarativi, acquisiti in atti, ne ha neutralizzato la rilevanza senza una spiegazione logica e comprensibile, limitandosi a considerazioni meramente assertive, senza valorizzazione di ipotesi alternative concretamente sostenibili.”
La difesa di Franco, Marco e Annamaria Mottola sapeva che la Procura generale avrebbe prodotto appello in Cassazione: “Siamo sicuri – ha commentato l’avvocato Mauro Marsella – che le sentenze di assoluzione di primo e secondo grado siano congre e ampiamente motivate e per questo motivo i nostri assistiti sono pronti ad affrontare serenamente un nuovo processo, si spera l’ultimo, in Cassazione”.
Duro è il commento del portavoce del pool difensivo della famiglia Mottola, il criminologo Carmelo Lavorino – “Ci si chiede, come mai il Pg non riesce a vedere che le indagini e l’impianto accusatorio sono stati fallaci, erroirifici e inadeguati? Lo stesso Procuratore generale dimentica che il processo di primo grado e quello d’appello sono stati impostati rispettivamente dalla Procura di Cassino e dalla Procura Generale di Roma, sul falso doppio presupposto che l’arma del delitto/mezzo lesivo fosse la porta della caserma dei Carabinieri di Arce e che il nastro che legava il capo di Serena Mollicone contenesse 28 frammenti lignei provenienti dalla’ipotetico impatto del capo della Mollicone con la porta, in realtà impatto mai provato, illogico ed antiscientifico, anzi, chiaramente inesistente. Ebbene, è stato dimostrato dalle sentenze, dalla logica, dalla scienza e soprattutto dai consulenti della Difesa dei Mottola che la porta non è il mezzo lesivo e che i frammenti non provengono dalla stessa porta. Appare originale e sconcertante che il Pg per stranissimi giochi/motivi di comunicazione ometta sempre e comunque i nominativi dei periti della Difesa Mottola, quasi a volerli oscurare e a non volere riconoscere i loro indubbi meriti. E’ criticabile che si continuino a usare i soldi del contribuente per spesare inutili processi e per pagare ai periti consulenze inadeguate, errorifiche e perdenti. Purtroppo, esiste il sospetto che ormai il confronto sia diventato una questione personale, di salvare la faccia, di tutelare gli inquirenti che sinora hanno sbagliato da una figuraccia e dal rimborsare l’Erario Italiano” – ha tuonato il professor Lavorino.