GAETA – Tre morti e nessuna responsabilità. Almeno per il momento. Ha destato stupore l’iniziativa del sostituto Procuratore della Repubblica di Cassino, Marina Marra, che ha chiesto al Gip del Tribunale della città martire di emettere il decreto di archiviazione relativamente all’affondamento del “Rosinella”, il peschereccio che, partito dal porto di Formia, fece perdere le proprie tracce la notte del 19 aprile 2016 a sette miglia a largo del litorale di Baia Domizia con tre membri dell’equipaggio tutti deceduti, il comandante Giulio Oliviero e i marittimi tunisini Khalipa e Saipeddine Sassi, padre e figlio di 60 e 25 anni. Non sono bastati, dunque, un anno ed mezzo di indagini e di perizie per appurare la causa o le concause che hanno provocato l’inabissamento di un motopeschereccio che, soprattutto durante la stagione invernale, ormeggiava presso la banchina di Molo Azzurra a Formia.
La Procura aveva aperto un fascicolo contro ignoti con l’ipotesi di reato di disastro colposo ma ora ha chiesto al Gip l’autorizzazione a chiudere le indagini perché non sarebbero emersi fatti nuovi su eventuali responsabilità legate all’affondamento e alla mancata sicurezza del natante. E, questo, nonostante i diversi interrogativi contenuti nelle superperizia che, realizzata dall’esperto di sicurezza della navigazione Giovanni Di Russo per conto della dottoressa Marra, lamentava una sorta di superficialità nella gestione e nella manutenzione del “Rosinella” nelle settimane che precedettero la tragedia. La perizia aveva evidenziato come l’affondamento del peschereccio – recuperato senza alcuna lesione – fosse avvenuto in pochissimi minuti, alle 21.40 del 19 aprile 2016 e con un piano di sicurezza «contraffatto»: l’Epirb – un sonar che si aziona a contatto con l’acqua – non sarebbe stato azionato e la zattera di salvataggio sarebbe stata trovata legata a bordo del natante, probabilmente per timore di furto nel porto di Formia. Si avanzavano altri interrogativi: come è possibile che il natante sia affondato in così poco tempo e perché il corpo di Oliviero, ritrovato nell’ottobre 2016, sia stato rinvenuto in una botola dopo che per mesi era stato dato per disperso?
E poi l’ipotesi, avanzata dalla famiglia del comandante Oliviero, dell’incastro delle reti in un aereo precipitato anni fa in quel tratto del litorale Domiziano sembra essere smentita dall’accertamento che il “Rosinella” sia stato trovato a più di un miglio di distanza. La parte civile aveva nominato un ingegnere navale ed uno meccanico, Sebastiano Molaro e Domenico Pisapia, per presentare al sostituto procuratore Martina Marra una perizia di parte per contrastare il contenuto di quella della stessa Procura secondo la quale l’affondamento, avvenuto –come detto – in poco tempo, sarebbe stato provocato dalla rottura di uno dei due bocchettoni d’acciaio del sistema di raffreddamento del motore. Per la parte civile questa ricostruzione è inverosimile perché un peschereccio di ben 28 tonnellate per affondare ha bisogno dalle quattro alle cinque ore e non di pochi minuti e, pertanto, ci sarebbe stato tempo e modo per i tre membri dell’equipaggio di dare l’allarme, di salire sulla zattera di salvataggio e, al limite, di gettarsi in mare. E invece i due marittimi tunisini sono stati trovati cadaveri a 65 metri di profondità ed il corpo del comandante “rinchiuso” in una botola, in avanzato stato di decomposizione, in occasione del recupero, dopo sei mesi, del “Rosinella” .
Gli ingegneri Solaro e Pisapia hanno ricordato nella loro consulenza che l’ultimo contatto telefonico tra il comandante e la moglie avvenne intorno alle ore 21, 50 minuti più tardi era in corso ancora una battuta a strascico e lo confermerebbe la condizione di tensione con cui sono stati trovati i cavi d’acciaio per praticare questo tipo di pesca. Le reti, parte delle quali sono state trovate in fondo al peschereccio, sono rimaste impigliate in qualcosa? E gli oggetti del “Rosinella” trovati spostati su di un lato, quasi accantonati, e la barca, integra e senza problemi di galleggiamento, è partita, dopo il suo recupero, da Gaeta per tornare autonomamente nel porto di Castellamare di Stabia…? Alla luce di questi dubbi stanno decidendo di impugnare la richiesta di archiviazione della Procura le parti civili, la moglie del comandante Oliviero nonchè armatrice del Rosinella, la signora Rosa Imperato, e i familiari dei due tunisini deceduti.
Assistiti dagli avvocati Vincenzo Propenso e Antonio Crisci, chiederanno la prossima settimana di conoscere le motivazioni che sono alla base della richiesta del Pm per poi decidere – il termine ultimo è il prossimo 10 settembre – se proporre o meno l’impugnazione contro l’archiviazione del procedimento…
Saverio Forte